È solo questione di tempo, durante un Festival arriva sempre il momento di quel film che cambia tutto, che spazza via il glamour, i riflettori, gli influencer da red carpet e riporta l’attenzione sul vero motivo per cui vale la pena esserci: il Cinema che penetra sotto pelle, che cambia le prospettive, che obbliga a ripensare ciò che credevi di sapere.
Il merito di tutto ciò, a Cannes 2023, è di Jonathan Glazer, il regista britannico che torna dietro la macchina da presa a dieci anni da Under the Skin (2013) con l’atteso The Zone of Interest, già acquistato da A24.
Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Martin Amis (scomparso lo scorso 19 maggio proprio nel giorno della première), The Zone of Interest elimina del tutto la storia del triangolo amoroso nel soggetto originale e si focalizza sulla vita quotidiana della famiglia Höss: Rudolf (Christian Friedel), il primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz, la moglie Hedwig (Sandra Hüller) e numerosi figli.
La zona di interesse che dà il nome al romanzo e al film è l’area intorno al campo, separata soltanto da un muro dagli orrori dei nazisti.
Cosa rende The Zone of Interest uno dei migliori film di Cannes 2023 (e del prossimo anno)
Non esiste davvero un tema saturo nell’infinita possibilità del racconto umano, soprattutto quando il mezzo scelto, quello cinematografico, permette di usare, torcere e modellare i suoi due elementi principali: immagine e suono.
Pensiamo di sapere tutto su Auschwitz, pensiamo di aver visto tutto, per questo crediamo non ci sia più nulla da dire, nulla a cui non siamo abituati, tanto da visitare un campo di morte come un museo. In The Zone of Interest Glazer irrompe per svegliarci da quel torpore, da quell’atteggiamento di indifferenza e lontananza che spesso nascondiamo dietro la “Memoria”.
Lo fa scegliendo di non mostrare nulla sullo schermo, lasciando che l’orrore si consumi fuori campo, lontano dal nostro sguardo ma non dagli altri nostri sensi.
Sentiamo gli spari ripetuti, le esecuzioni in serie a ogni ora del giorno. Sentiamo il rumore dei forni crematori e ne immaginiamo l’odore nauseabondo mentre il rosso delle fiamme colora le notti di Auschwitz.
Nessuno nella famiglia Höss, tuttavia, sembra curarsene. La vita di ciascun membro prosegue nell’agio e nella ricchezza, nella placida consapevolezza del proprio potere. La quiete che regna al di qua del muro del campo di sterminio – a pochi passi dalla villa degli Höss – è quell’elemento straniante che permette davvero di prendere le distanze da personaggi altrimenti moralmente insopportabili.
Non esiste nessun giudizio, tuttavia, né da parte del regista né da parte del pubblico: gli Höss sono nazisti, non hanno bisogno di suscitare pietà o empatia, sono la banalità del male. Anche per questo motivo Glazer e il direttore della fotografia (Łukasz Żal, candidato all’’Oscar per Cold War) scelgono di riprendere le scene dentro la villa a distanza, lasciando gli attori liberi di muoversi in uno spazio “reale”, in una intera casa e non un set ricostruito pezzo per pezzo.
Rarissimi i primi piani, prevalgono le inquadrature larghe, campi lunghi, come quadri di paesaggi in cui la presenza umana sembra irrisoria, lasciando al pubblico lo spazio per allontanarsi dalla storia narrata e senza mai chiedere alcun tipo di identificazione. L’unico personaggio a cui ci si sente vicini, l’unico che tenta di esternare l’orrore che prova, è la madre di Hedwig, che infatti fugge dalla villa appena inizia a comprendere tutto.
Il suono della morte
Diversamente da precedenti film sulla Shoah e sul nazismo, che insistono sullo sguardo, sulla messa in scena della violenza per diventare testimonianza, The Zone of Interest sceglie di ancorare il suo pubblico ai suoni, ai rumori, a quell’unico senso che non può essere controllato né attutito, specialmente al cinema. Come un incubo, i colpi sordi della morte battono il tempo e il ritmo del film, accompagnati dalla perturbante e straordinaria musica di Mica Levi, che raggela, spaventa, emoziona, fa percepire tutto ciò che non viene mostrato.
In breve
È grande cinema quello che Glazer ha presentato a Cannes, un film sconcertante che riesce a raccontare l’inenarrabile e il cui percorso non si fermerà certo sulla Croisette.
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