Tori e Lokita

Tori e Lokita è l’ultimo film dei due registi belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne. Il film è stato presentato in concorso al Festival di Cannes 2022 e ha riscosso un grande successo di critica. Il che, francamente, non stupisce.

Tori e Lokita racconta di due anime sole destinate a incontrarsi

Lokita e Tori sono una ragazza e un bambino giunti dall’Africa in Europa. I due si incontrano in Sicilia, a metà di quello che sarà il viaggio verso la presunta libertà. Fra loro nascerà un legame indissolubile, una fratellanza che va ben al di là del sangue. Tuttavia, questo non basta alle autorità: se a Tori vengono concessi i documenti, Lokita non li ottiene, a meno che non dimostri di essere sorella del ragazzino. E, ovviamente, un test del DNA in questo caso non servirebbe, dato che i due non sono effettivamente parenti. 

SPOILER. È presto evidente che il viaggio verso la libertà altro non è stato che un’illusione. Lokita e Tori vivono in un rifugio per migranti, dove sono obbligati al coprifuoco. E senza documenti, Lokita non può occuparsi legalmente di Tori, né trovare effettivamente un lavoro. In tutto ciò, Lokita è perseguitata dall’organizzazione che ha garantito loro il viaggio verso l’Europa e con cui ha contratto un debito spropositato.

I due ragazzi cercano quindi di sopravvivere come possono. Ed è così che entra in scena Betim, uno spacciatore che fa il cuoco come copertura. L’uomo non solo costringe i due a fare i corrieri della droga, ma abusa sessualmente di Lokita. 

Tori e Lokita mostra la realtà nuda e cruda, senza mezze misure

SPOILER. Il film racconta la storia di due migranti, senza tentare di edulcorarla, o inserire un lieto fine forzato.

Come hanno dichiarato gli stessi Dardenne nel corso della conferenza stampa di presentazione del film a Roma, presso il cinema Quattro Fontane: “Tempo fa avevamo sviluppato una storia che raccontava di una famiglia di migranti, una madre e due figli. Il progetto non è stato realizzato, ma successivamente abbiamo avuto l’idea per questo film. Non ci siamo ispirati a un fatto di cronaca preciso, ma sui giornali si legge spesso di giovani immigrati che spariscono nel nulla senza lasciare traccia. Siamo partiti da lì”.

Ciò che sconvolge di più di Tori e Lokita è il fatto che si tratta di una storia vera, come quelle che si leggono spesso sui giornali. Solo che, quando leggiamo l’articoletto che parla sbrigativamente di qualche immigrato trovato cadavere per la strada, o di clandestini coinvolti in giri di droga, non ci soffermiamo più di tanto. Nel film dei Dardenne, invece, l’orrore di queste realtà nascoste ci viene mostrato sul grande schermo. E l’unica cosa che possiamo fare è stare in silenzio, osservare e riflettere. 

Jean-Pierre e Luc Dardenne evitano la spettacolarizzazione

Essenzialità è la parola d’ordine per i fratelli Dardenne. Il film è girato in stile quasi documentaristico. La recitazione è asciutta, mai sopra le righe e la regia ci mostra delle riprese semplici, senza virtuosismi nei movimenti di macchina. I registi ci portano nella vicenda tenendoci per mano, come se fossimo degli osservatori silenziosi all’interno della storia. Non c’è alcuna distanza fra noi e i protagonisti. Siamo con loro quando vanno in giro a vendere droga, siamo con Lokita nella sua disperata ricerca dei documenti, il suo lasciapassare per la libertà. Quando si rivolge a Betim per ottenere dei documenti falsi, la accompagniamo nell’orribile bunker dove l’uomo la rinchiude per badare alle piantagioni di marijuana. Sì, perché per ottenere documenti falsi lo spaccio non è sufficiente.

Il favore è troppo grande e Lokita deve dimostrare in altri modi la sua devozione. Betim la costringe a stare in un bunker per tre mesi, senza cellulare, né altri contatti con il mondo che non siano le visite settimanali dei suoi scagnozzi con la spesa. E, ovviamente, quelle dello stesso Betim. Arrivati a questo punto del film, avvertiamo la sensazione di ansia e claustrofobia che attanaglia Lokita. Ma la cosa eccezionale è che i fratelli Dardenne riescono a suscitare tutte queste emozioni senza mostrare più dell’indispensabile. 

In Tori e Lokita non si vede neanche una goccia di sangue

Com’è possibile che un film che parla di tematiche così violente e dure non mostri del sangue? Vi sembrerà impossibile, eppure è così. E vi stupirà anche scoprire che non toglie nulla al valore espressivo dell’opera. La storia è già cruda di suo, tutto il resto sarebbe superfluo e distrarrebbe dalla storia.

Come gli stessi Dardenne hanno dichiarato, persino le scene di violenza sessuale non devono essere esplicite. “È ciò che non si mostra che rende la forza e la violenza della scena”, hanno affermato durante la conferenza stampa. In effetti, il primo piano sul volto straziato di Lokita, costretta a un umiliante spogliarello da Betim, è molto più forte dell’immagine del suo corpo nudo, o della reazione di Tori che, nascosto, è costretto ad assistere. 

SPOILER. O, alla fine, l’inquadratura dei piedi di Lokita che escono dai cespugli, rivelando il suo corpo senza vita, comunica più della vista del cadavere sporco di sangue. Così come l’urlo straziato di Tori, che corre verso di lei nella speranza di vederla rialzarsi. 

I fratelli Dardenne hanno detto che Tori e Lokita sono due simboli. La loro storia racconta tutto lo strazio di un dramma universale. E la chiave per mostrarlo al pubblico è la semplicità, in uno stile che vuole anche ricordare la Nouvelle Vague.

I fratelli Dardenne non vogliono puntare sullo spettacolo, sulla ridondanza e l’opulenza. Ciò che vogliono raccontare è la verità. Ed è per questo che ci fa così male. 

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Giulia Losi
Laureata alla Sapienza in Teatro, Cinema, Danza e Arti Digitali, ho poi deciso di dedicarmi in toto alla mia grande passione: la critica cinematografica e la scrittura. Sono grande appassionata di cinema e serie TV fin da piccola, quindi ho fatto la semplice scelta di prendere un mio grande amore e farne un lavoro.

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