La Dolce Vita, Federico Fellini (1960)
La Dolce Vita, Federico Fellini (1960)

Fellini viene il più delle volte associato a La Dolce Vita, il suo film più celebre e apprezzato. E non fatichiamo a capire il perché

L’opera è diventata iconica, oltre che per la perfezione tecnica, anche per altri motivi: uno su tutti, l’immagine della giunonica diva Anita Ekberg, che entra nella fontana di Trevi invitando Marcello a seguirla. La frase “Marcello, come here!” ha fatto la storia del cinema, così come l’intera scena che, tuttavia, non è certo fra le più significative del film. Sicuramente, la fisicità dell’attrice, il suo voluttuoso abito da sera e i biondi capelli che le ricadono sulle spalle candide hanno stuzzicato la fantasia di gran parte del pubblico maschile e fatto desiderare alle donne di essere come lei, protagoniste e oggetto di desiderio.

In un modo o nell’altro, il film è dunque entrato nel nostro immaginario collettivo

Non solo per le scene come quella descritta sopra, ma anche per termini come Paparazzi, ormai parte del linguaggio internazionale. Forse non tutti sanno che la parola è nata proprio in omaggio al personaggio di Paparazzo, il fotografo con il quale Marcello si accompagna quando è a caccia di notizie succose. Ma al di là della simbologia, delle icone che sono nate grazie a La Dolce Vita, la pellicola è anche molto di più. Dietro alla patina sfavillante della bella vita romana, la cosiddetta Hollywood sul Tevere, si celano delle metafore potentissime.

Prendiamo Anita Ekberg, per esempio. È molto più di una semplice icona. Lei è il prototipo della diva hollywoodiana o, meglio, è ciò che il grande pubblico si aspettava da una diva: sensuale, prorompente, vitale e piuttosto ingenua. Ma Fellini non propone la sua semplicità come un difetto. Anzi, contribuisce a rendere il suo personaggio in qualche modo positivo, perché privo della malizia e delle costruzioni mentali degli altri personaggi, malgrado l’opulenza che la circonda. È significativo il fatto che si allontani dagli sfarzi di una festa sfrenata per cercare il contatto con la natura, seppur all’interno di una grande città. Prima appare quasi ipnotizzata da un gattino che incontra per strada, poi si getta all’interno di una fontana, che con le sue cascatelle e finte asperità rocciose, ricorda una grande grotta, senza preoccuparsi del vestito che indossa, o di chi la potrebbe guardare.

La ricerca desolante dell’innocenza

Nonostante ciò che rappresenta, la diva è “innocente”. Ed è questo ciò a cui Marcello aspira: l’innocenza. Nel corso del film è l’innocenza che lui ricerca disperatamente: prima nella tranquillità della casa di Steiner, lo scrittore suo mentore, la persona che più di tutti stima. Poi in campagna, nel grande spiazzo dove dei bambini, che dicono di aver visto la Madonna, radunano frotte di esaltati, e infine in Paolina, la ragazzina che incontra sulla spiaggia.

Ma in tutti i casi, la purezza si rivela un’illusione: la bionda attrice, dopo essere ritornata spensierata dalla nottata alla scoperta delle bellezze di Roma, viene brutalmente malmenata dal marito geloso. Steiner, incapace di sopportare un mondo così corrotto, uccide i figli e sé stesso, in un disperato tentativo di fuga, mentre Paolina, unico baluardo di speranza, viene salvata dallo stesso Marcello. Quando lei lo chiama, dall’altra parte della spiaggia, l’uomo non la segue per preservare il suo candore, per risparmiarle, ancora per un po’, la bruttezza del mondo.

Di fronte a un quadro della realtà così desolante, non c’è da stupirsi che parte di pubblico e critica sia rimasto scandalizzato. È sempre difficile accettare che si vive in un mondo marcio, che noi stessi abbiamo contribuito a costruire. Così come la sessualità libera e disordinata dei personaggi, il modo dissacrante in cui viene mostrata la Chiesa e la religione (emblematico l’episodio del finto miracolo), la violenza, mostrata o suggerita, l’atmosfera mortifera che impera nel film ha suscitato, da una parte, scandalo e turbamento, mentre, dall’altra, curiosità morbosa e voyeurismo. Senza dubbio uno degli intenti del film era quello di far parlare di sé: e ci è riuscito, fin dall’inizio.

La reazione del pubblico e della critica a La Dolce Vita

Già a partire dalla sua produzione, la pellicola è sulla bocca di tutti e gode di una copertura mediatica senza pari. Frotte di giornalisti e fotografi si appostano sui luoghi delle riprese, nella speranza di sorprendere i divi, dentro e fuori dal set. A tutto ciò si aggiunge l’ondata di indiscrezioni che trapelano e arrivano velocemente sui giornali. Una su tutte, quella della relazione (neanche tanto clandestina) fra il regista e Anita Ekberg.

Inutile dire che il film continua a far parlare anche dopo la sua uscita. Ottiene un incredibile successo al botteghino (stimato intorno ai 2.271.000.000 di lire) e spacca letteralmente in due la critica.

Il Paese sera del 12 febbraio 1960 afferma infatti:

Dal punto di vista etico, La dolce vita non permette confusioni e debolezze di giudizio. Mai il cinema ha inserito nel peccato un senso sì profondo di amarezza, di noia, di sventura, di desolazione. Non c’è istante in cui i personaggi, così diversi e affini, non manifestano l’interiore tortura di un’anima e l’infinita noia della vita in cui si sono trovati ad agire e in cui sono stati travolti. È un film che, a mio parere, non può fare del male a nessuno e che può far bene a tanti”.

D’altra parte, anche il giudizio del CCC (Centro Cattolico di Cinematografia) non tarda a farsi sentire. Il verdetto sul film è lapidario:

La condanna di una società, che presenta evidenti sintomi di disfacimento e di insensibilità morale, dovrebbe risultare dalla rappresentazione spietata di tutti gli aspetti del male. Questa impostazione, moralmente inaccettabile, determina un giudizio negativo. La descrizione insistente dell’immoralità, le volgari espressioni che compaiono nel dialogo, nonché le scene scabrose impongono l’esclusione del film da ogni genere di pubblico”.

Un giudizio duro, che intellettuali come Pasolini non esitano a sbeffeggiare:

Mi fa molto piacere che l’organo del Vaticano gridi ‘basta!’. Questo, per gli uomini di buona volontà, non può che significare ‘continua’”.

Da questi pochi estratti è chiaro come La Dolce Vita sia stata un vero e proprio tornado, che ha sconvolto l’Italia. C’era chi vedeva positivamente una simile critica alla società romana, mentre altri non l’hanno decisamente presa bene. Forse, alcuni si sentivano colpiti sul personale.

Un simpatico aneddoto legato al film riguarda proprio lo stesso Fellini che una sera, giunto in un locale, si ritrovò davanti un esponente dell’aristocrazia, che si dichiarò ferito e offeso dai contenuti del film. Motivo per cui decise nientemeno di sfidarlo a duello.

Episodi di questo tipo ci fanno capire quanto La Dolce Vita sia stata, prima di un capolavoro immortale, un vero e proprio fenomeno mediatico. È un’opera che ha messo la società davanti a uno specchio, uno di quegli enormi specchi con le luci impietose, indicandole tutti i suoi difetti. E non c’è nulla di male in tutto questo. Perché oltre ad aver mostrato la parte più cupa e negativa del mondo in cui lo stesso Fellini viveva, è riuscito anche ad esaltarne i piccoli, delicati sprazzi di bellezza. Come Paolina, quella ragazzina che nella sua innocenza invita Marcello ad attraversare la spiaggia e raggiungerla. Confidando, forse, nella possibilità di un mondo migliore.

Se volete continuare a scoprire la cinematografia di Federico Fellini qui un approfondimento su Le Notti di Cabiria.

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