America Latina, diretto da Damiano e Fabio D'Innocenzo. Vision Distribution
America Latina, diretto da Damiano e Fabio D'Innocenzo. Vision Distribution

Un fortuito allineamento di ispirazioni dialoganti: la regia dei fratelli D’Innocenzo, la fotografia di Paolo Carnera, il montaggio di Walter Fasano, le musiche dei Verdena. Tutto questo rende America Latina una narrazione inusuale per il panorama che siamo abituati a conoscere. Il grande mistero che avvolge il lungometraggio dalla sua presentazione a Venezia è la chiave di una comprensione finale che non può essere rivelata prima della visione.

Ambientato in una Latina monocromatica, riscopre inquietanti atmosfere alla Lanthimos e luci perverse proprie di un cinema fortemente espressivo: nella lentezza di una vita quieta, l’abisso umano e l’imprevisto di una scoperta spaventosa distorcono la percezione portando il protagonista, il dentista Massimo Sisti (Elio Germano), alla deriva.

America Latina, diretto da Damiano e Fabio D’Innocenzo. Vision Distribution

La forma di America Latina

Dai titoli di testa, che scorrono in direzione opposta rispetto alle prime immagini, si entra nella provincia ristagnante e dispersiva di un paesaggio che potrebbe confondersi con qualche scorcio di periferia colombiana, o argentina. America-Latina è solo un gioco per disorientare lo sguardo e la percezione, aiutato dall’incalzante montaggio di un incipit che attrae e prende le distanze allo stesso tempo.

Massimo è un dentista gentile e competente, la sua è una vita abitudinaria, l’unico strappo alla regola è ubriacarsi una volta a settimana con il suo amico Simone, rilassandosi con qualche battuta ad intermittenza in mezzo a lunghi silenzi. A casa lo aspettano sua moglie e le due figlie, per completare il quadro semi perfetto di un’esistenza da ricco in un posto disperato.

Ogni dettaglio concorre alla fratturazione interna dell’equilibrio appena appreso, e tutto ha inizio con un’incrinatura che provoca un sussulto e un conseguente terrore. Massimo scende in cantina per recuperare una cosa e trova qualcosa di indicibile, l’inizio di un ribaltamento totale della vita che ha costruito.

L’estetica delle immagini (spoiler)

Il film è un voluto salto nel buio. L’oscurità descritta è quella racchiusa sul fondo della mente di un uomo, e che inizia a fuoriuscire scomposta dopo l’evento agghiacciante che lo mette in discussione. La perfezione della realtà cosciente di Massimo si intacca di dubbi, ansie, paure. Quello che trova nella cantina rappresenta un subconscio debordante che inizia a macchiare anche il rigoroso piano superiore della sua villa: una ragazza legata e urlante, molto lontana dalle sue figlie vestite solo di bianco.

America Latina, diretto da Damiano e Fabio D’Innocenzo. Vision Distribution

Le immagini sono flash e intuizioni dove cromie nette definiscono il disagio e l’incertezza. L’impero della mente investe quello del tangibile, si fondono in un delirio psicotico che travolge Massimo. Raffigurate come streghe silenziose, la moglie e le due ragazze, sono costantemente antinaturalistiche e sospese in una percezione nauseante di candida compiutezza.

Dalla locandina del film si percepisce una rottura che è fisica, in quanto il cranio di Elio Germano si frantuma come un guscio d’uovo, ma anche psicologica. La caduta in pezzi di un mondo inesistente è comunicata con inquadrature geometriche, come quadri terrificanti che raffigurano verità messe a tacere.

America Latina, diretto da Damiano e Fabio D’Innocenzo. Vision Distribution

Il thriller realizzato dai fratelli D’Innocenzo ha solo un difetto, avrei sinceramente voluto che durasse una mezz’ora in più. Sebbene con la regia riesca a trasmettere la delirante e terrificante crisi del protagonista, non si prende abbastanza tempo a livello narrativo per un meritato epilogo. La risoluzione frettolosa è l’unica pecca di una storia nera difficile da scordare.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.