La cover di Cowboy Carter, Act II di Beyoncé
La cover di Cowboy Carter, Act II di Beyoncé

Si parla di Cowboy Carter già da quando Beyoncé ha iniziato a presentarsi a tutti gli eventi pubblici con una lunga parrucca color platino e l’inconfondibile cappello da mandriano. Ma insomma, adesso che è finalmente uscito, com’è questo debutto di Queen Bey nella musica country?

In una parola, trionfale. Se volete sapere di più, continuate a leggere.

Cos’è Cowboy Carter

Cowboy Carter è l’ottavo album da solista di Beyoncé. Il titolo esatto è Act II – Cowboy Carter, poiché fa parte di un progetto più ampio di rivendicazione dei generi da parte dell’artista. Segue infatti l’Act I – Renaissance del 2022 in cui Beyoncé ha rielaborato i codici della musica disco e dance. Probabilmente ci sarà un terzo e ultimo atto che secondo i fan dovrebbe “riprendersi” il rock’n’roll per riportarlo dentro la tradizione musicale afroamericana (e quindi scalfire, una volta in più, il mito di Elvis).

Beyoncé ha annunciato ufficialmente l’album durante il Super Bowl di febbraio 2024, insieme a due singoli: 16 Carriages e Texas Hold ‘Em. Con quest’ultimo, è stata la prima donna nera a raggiungere per due settimane consecutive la prima posizione della classifica Hot Country Songs di Billboard. Il singolo ha inoltre superato i 270 milioni di stream e ha raggiunto la prima posizione della classifica globale di Apple Music e di Spotify, la Top 10 della classifica globale di Shazam, la Top 10 della classifica italiana di Shazam, la Top 10 dell’Airplay radiofonico Europeo e la Top 10 dell’Airplay radiofonico italiano.

L’album contiene 27 tracce, alcune delle quali sono intermezzi che coinvolgono grandi nomi del country, da Dolly Parton a Willie Nelson.

Perché Beyoncé ha voluto un album country

Per capire cosa ha spinto Beyoncé a correre il rischio commerciale (non qualitativo, si intende) di un album country è necessario tornare al 2016, quando il singolo Daddy Lessons, estratto dall’album Lemonade fu aspramente criticato dopo una performance ai Country Music Association Awards. Non era la canzone in sé che il pubblico non accettava, ma il fatto che fosse cantata dal vivo da un’artista considerata estranea al genere, troppo pop, oltre che afroamericana.

Il genere country, nonostante la sua storia, è stato progressivamente adottato dalla fascia più conservatrice dell’America bianca, tradendo le sue stesse radici. Quello che fa Beyoncé, appunto, da nera texana, è riprendersi ciò che le appartiene musicalmente.

«Ci sono voluti 5 anni per preparare questo album. È nato da un’esperienza che ho avuto anni fa, in cui non mi sono sentita ben accolta… ed era molto chiaro che non lo ero. Ma, a causa di quell’esperienza, ho fatto una ricerca più approfondita sulla storia della musica country e ho studiato il nostro ricco archivio musicale. È bello vedere come la musica possa unire così tante persone in tutto il mondo, mentre amplifica le voci di alcune persone che hanno dedicato così tanto della loro vita all’educazione sulla nostra storia musicale. Le critiche che ho affrontato quando mi sono approcciata per la prima volta a questo genere mi hanno costretta a superare i limiti che mi erano stati imposti. Act II è il risultato della sfida che mi sono lanciata, e del tempo che ho dedicato a mescolare i generi per creare questo lavoro».

Beyoncé nella sua dichiarazione ufficiale

Una breve storia della Black Country Music e la Yeehaw Agenda

Beyoncé, naturalmente, non ha inventato nulla. Ha rielaborato qualcosa che esiste da sempre, da quando gli schiavi africani portarono nelle piantagioni un strumento come l’akonting, diventato poi il banjo del country e ancora prima dei “minstrel show“. Furono proprio gli spettacoli dei menestrelli a introdurre l’uso del banjo tra gli statunitensi bianchi che inserirono lo strumento nella musica hillbilly, commercializzata poi come musica country dopo la prima guerra mondiale. Progressivamente, l’eredità dei musicisti neri nel country è stata cancellata, ma per esempio si ricorda ancora il chitarrista Leslie Riddle come l’inventore della tecnica del “fingerpicking”, suono caratteristico delle corde del country.

Negli anni Sessanta e Settanta Charley Pride è stato il primo artista nero ad avere un singolo country al numero uno della classifica nazionale, anche se vittima di pregiudizi e discriminazioni, al punto che solo nel 2000 è stato inserito nella Hall of Fame della musica country.

L’esperimento del 2016 di Beyoncé ha quindi contribuito a “risvegliare” l’orgoglio della tradizione country afroamericana, al punto che oggi ha assunto anche un nome, la “Yeehaw Agenda“, che indica rivendicazione della cultura dei cowboy afroamericani attraverso la musica, il cinema e la moda. E di esempi se ne sono visti diversi, dal singolo rap country di Lil Nas X, Old Town Road, a film come The Harder They Fall, fino a una delle recenti collezioni di Louis Vuitton ideata da Pharrell Williams.

Dolly Parton, Miley Cyrus & Co: l’importanza del ft. in Cowboy Carter

Non che Beyoncé ne abbia bisogno, ma la presenza di importanti icone della musica country in un certo senso legittima la validità del progetto discografico. La presenza di Dolly Parton è un vero endorsement, se non una dichiarazione incondizionata di stima. La cantante appare in un breve intermezzo, intitolato proprio Dolly P, che serve da introduzione alla cover della celebre Jolene.

Una cover che prima di tutto riattualizza il testo, trasformandolo non solo in qualcosa di coerente con il personaggio di Beyoncé stessa, ma più vicino anche alla sensibilità moderna della donna. Non c’è più nessuna Jolene da implorare, nessuna Jolene troppo bella a cui chiedere di non rovinare una famiglia, solo un incontro alla pari fra due donne rivali in amore.

E se purtroppo i fan che aspettavano un sequel di Telephone con Lady Gaga sono riamasti delusi, i ft. non mancano. La voce di Post Malone si lega benissimo alle melodie di LEVII’S JEANS e sorprende anche Shaboozey che trascina il country dell’album verso un’inaspettata (e notevole) traccia trap, SPAGHETTII. Come viene detto all’inizio del brano, in effetti, il genere è solo una costruzione.

La collaborazione più bella, tuttavia, è il duetto perfettamente alla pari tra Bey e Miley Cyrus in II MOST WANTED. Le loro voci si fondono in una dichiarazione d’amore che è prima di tutto un modo per dare spazio alle doti di entrambe nel canto.

Cowboy Carter, in breve

Beyoncé apre Cowboy Carter con la fine, con un requiem (AMERIICAN REQUIEM) e lo chiude con una preghiera (AMEN). In mezzo sviluppa il suo discorso, fatto sì di simboli profondi della pancia degli Stati Uniti, ma rielaborati dal suo punto di vista.

Musicalmente protagonista è la sua voce, persa forse in Renaissance a favore delle basi dance. Nel bellissimo brano DAUGHTER arriva a cantare anche un’aria lirica settecentesca in italiano, Caro mio Ben (di Tommaso Giordani), giusto per mettere in chiaro che sa fare tutto e che può fare tutto.

A fare da cornice al suo canto sono soprattutto le corde. Chitarre, giri di basso e banjo danno identità ai brani in un set strumentale prevalentemente acustico, anche nelle percussioni. Il risultato, come detto, è semplicemente trionfale.

Non vi resta che (ri)ascoltarlo. Enjoy!

V.V.

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