Una scena di Cabaret Il Musical
Una scena di Cabaret Il Musical. Foto di Valerio Polverari

“Willkommen! And bienvenue! Welcome al Cabaret”. Impossibile non cantare e restare estasiati davanti allo spettacolo che è il Cabaret di Arturo Brachetti e Luciano Cannito. Dopo l’edizione romana al teatro Brancaccio, arriva dal 15 novembre in scena anche a Milano la Berlino del 1930 con i suoi eccessi, le sue trasgressioni, la sua passionalità smodata.

In questa festa perenne, però, si insinua lentamente l’avanzata del nazismo e gli orrori della Seconda Guerra Mondiale che, con lo stesso effetto di una doccia fredda, svegliano lo spettatore dai fumi e dalla lascivia del Kit Kat Club.

La trama

Sin da subito lo spettatore viene informato che ciò che sta per vedere è tratto da una storia vera e da personaggi realmente esistiti basati sul romanzo autobiografico dello scrittore Cristopher Ishrewood, Goodbye to Berlin. È proprio uno scrittore americano, Cliff (interpretato da Cristian Catto), il protagonista della storia, che dopo aver girato l’Europa, arriva a Berlino per cercare l’ispirazione per il suo nuovo romanzo. La trova al Kit Kat Club nella bella ballerina Sally (Diana Del Bufalo) di cui si innamora follemente.

La loro storia d’amore si intreccia alla vita precaria di chi insegue i propri sogni, in un contesto in cui il desiderio di successo, divertimento e fama si scontrano con la politica e la violenza nazista che si fanno sempre più reali scena dopo scena.

Lo spettacolo

La co-regia di Arturo Brachetti, che interpreta l’Emcee, ambiguo e irriverente maestro di cerimonie del Kit Kat Club, non poteva che suggerire un solo aggettivo per questo spettacolo: “sorprendente”. Come lo sono, del resto, i suoi incredibili cambi d’abito: in fondo resta sempre l’attuale re del trasformismo italiano. Ciò che colpisce, però, è la sua poliedricità nel canto, nel ballo, nella modulazione della voce e nell’interpretazione variegata e variopinta: un vero talento a tutto tondo.

Arturo Brachetti. Foto di Valerio Polverari

Benché pecchi alle volte di spessore emotivo, Diana Del Bufalo è sempre una conferma: con le sue incredibili capacità canore e la sua sensualità e ironia ha stregato il pubblico del Brancaccio.

Se esistesse una pagella, il dieci e lode però andrebbe a Maria Filippi, che ha realizzato i meravigliosi costumi di scena dello spettacolo: irriverenti, creativi, versatili. In una parola: “wow”!

Non meno degno di nota è l’incredibile scenografia realizzata da Rinaldo Rinaldi. Strutture mobili ruotano su loro stesse creando sempre scenari nuovi. Innovativa, inoltre, è la scelta di posizionare l’orchestra dal vivo su una struttura in alto, in bella vista per il pubblico: indubbiamente una delle marce in più dello spettacolo.

Il numero di componenti del corpo di ballo non è al pari di quello di Broadway, ma non si può dire lo stesso del livello. L’ensamble composto da Francesco Cenderelli, Simone Centonze, Elisabetta Dugatto, Felice Lungo, Ivana Mannone, Stefano Monferrini, Gaia Salvati e Susanna Scroglieri è un unico polmone che respira insieme: coordinati, energici, frizzati, versatili ed espressivi.

Nazismo e antisemitismo

Che Cabaret arrivi in un momento storico particolare ce lo dicono i giornali e l’effetto indelebile che l’odio nazista ha lasciato nel cuore delle persone lo si vede dalla reazione del pubblico in sala.

Una delle esibizioni termina con Brachetti che apre sulla sua schiena un’enorme bandiera con la svastica. Nulla di strano, se fosse un film ambientato nel 1930 sarebbero ovunque, su ogni divisa militare. Eppure la nota finale della canzone, che di solito lancia il pubblico in un applauso, questa volta viene accolta con più timore, con qualche sguardo al vicino per vedere se batte le mani o meno, come a chiederne il permesso.

Nella trama è l’amore tra i due anziani Fraulein Schneider (Christine Grimaldi) e Herr Schultz (Fabio Bussotti) a introdurre il tema delle leggi razziali: “che potranno mai farmi” dice Herr Schultz, “sono ebreo, ma pur sempre tedesco!”. Il pubblico accoglie queste parole con un retrogusto amaro, involontario narratore onnisciente che conosce troppo bene la fine della storia. I due non si sposeranno, per paura delle violenze naziste, perdendo così per sempre la loro speranza di amore e di non essere più soli.

A fine spettacolo Brachetti compie la sua ultima trasformazione: se all’inizio dello spettacolo compare nudo sul palco in atti trasgressivi e lussuriosi, nudo ancora è al termine quando, avvolto tra i fumi, entra nella camera a gas.

Un pugno nello stomaco. Il finale di Cabaret arriva così, lasciando per diversi secondi senza fiato e con una sola domanda che rimbomba nella testa: “Non abbiamo imparato niente?”.

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