COCORICÒ TAPES, di Francesco tavella
COCORICÒ TAPES, di Francesco tavella

Presentato in anteprima mondiale alla 59esima Mostra Internazionale del Nuovo Cinema a Pesaro lo scorso 18 giugno, Cocoricò Tapes arriva al cinema Troisi di Roma. Il film documentario verrà proiettato il 3 novembre alle 21 e 45 introdotto da un incontro con il regista Francesco Tavella, il produttore Giacomo Benini e il giornalista Alberto Piccinini.

Per l’occasione ho avuto il piacere di fare qualche domanda a Francesco Tavella e al montatore Luca Nervegna, a proposito del lavoro sui materiali analogici e del potere della testimonianza in Cocoricò Tapes.

Qualche domanda al regista Francesco Tavella

Come nasce l’idea per il film? O più precisamente, dove nasce l’interesse per il Cocoricò?

L’idea di fare un film sul Cocoricò degli anni ’90 nasce perché Matteo Vallicelli, compositore della colonna sonora, mi ha messo in contatto con chi conosceva bene quell’ambiente e sapeva di un numero non meglio precisato di VHS amatoriali che un cliente aveva realizzato all’interno del locale tra il 1992 e il 1999. Da qui ci si è aperto un mondo. Subito è stato chiaro che il Cocoricò poteva essere il pretesto giusto per raccontare molto di più.

L’interesse per il Cocoricò nasce perché avendo vissuto gli anni ’90 conosco l’impatto che ha avuto il mondo della discoteca sulla società e sui media. Soprattutto il Cocoricò che stava tanto nelle pagine di Costume quanto in quelle della cronaca. La complessità espressiva del Cocoricò, il fatto che venisse pensato e realizzato con lo scopo di lasciare ai clienti qualcosa di più di una semplice serata danzante, è stata la chiave per aprirsi a chi quel locale lo frequentava e tramite gli archivi di tv private recuperarne il modo di pensare e di intendere la gioventù. Lo scopo ultimo era di non influenzare con i ricordi la narrazione ma lasciarla libera per poterci così restituire un ritratto veritiero di quel periodo.

Oltre alla potente testimonianza, cosa volevi trasmettere con il documentario?

Il documentario è composto principalmente da archivi perché volevamo che fosse un’esperienza totale. Un’ immersione visiva e sonora negli anni ’90 e in quel modo di vivere e di fare le cose.

Al di là della discoteca come luogo simbolo di quel decennio, era per me importante tracciare un percorso visivo che raccontasse quel periodo storico attraverso le immagini d’archivio degli avvenimenti che più hanno influenzato la società e in particolare Loris Riccardi, l’art director del locale. Questo aiuta a contestualizzare certe scelte creative del Cocoricò e comprenderne la decadenza e l’impatto che voleva avere sul proprio pubblico. Ma serve anche a ricordarci chi eravamo, con quali angosce avevamo a che fare e quali erano le paure e le ambizioni. Il film inizia con il cartello “Game Over Try Again”, un invito per i più giovani.

Che sensazioni hai provato entrando in contatto con così tanti ricordi, memorie ed esperienze fissate su nastro?

Innanzitutto ho pensato che quei giovani erano meno sciocchi di come all’epoca venivano raccontati. Ma la cosa bella è stata entrare in contatto con chi il Cocoricò degli anni ’90 lo ha realizzato. Tutte persone che hanno fatto la discoteca con passione e voglia di fare qualcosa di bello, di diverso. Mi ha affascinato il loro modo genuino di lavorare. Quel modo che può appartenere solo a chi fa le cose per la prima volta. È grazie a loro che abbiamo ritrovato così tanto archivio e la sensazione è che in quegli anni ci fosse la necessità nel fine settimana di essere diversi, di diventare qualcos’altro, di allontanarsi dalle convenzioni.

COCORICÒ TAPES, di Francesco tavella

Qualche domanda al montatore Luca Nervegna

Il montaggio di Cocoricò Tapes lo rende un documentario con una forma non usuale, una narrazione che si perde ipnoticamente nella videoarte in molti momenti: come avete lavorato sulla composizione dei materiali? Avere solo testimonianze analogiche è stato più complesso o più stimolante?

In verità, il montatore originale del film è Luca Berardi ed è stato lui a dare vita a questa forma visiva e ritmica. Grazie ai suoi spunti artistici, il film ha iniziato a prendere forma anche dal punto di vista narrativo. Sono dovuto subentrare a metà del processo perché, purtroppo per ragioni personali, Berardi ha dovuto lasciare il progetto. Nel mio ruolo, ho cercato di mantenere il suo stile, ma anche di chiudere alcuni fili narrativi che stavano iniziando a perdersi. Complessivamente, direi che insieme siamo riusciti a trovare una struttura narrativa su cui costruire il film. Berardi ha creato dei punti di riferimento visivi e artistici meravigliosi, a tratti lisergici, ma il mio compito è stato quello di collegarli in modo coerente. 

La grande quantità di materiale di repertorio girato ha reso il lavoro stimolante ma allo stesso tempo complesso. Non è stato facile districarsi tra le ore e ore di VHS, a volte scoraggiante quando non si trovava nulla per ore e poi illuminante quando, alla fine di una cassetta, si scopriva un dettaglio che avrebbe potuto aprire un nuovo capitolo narrativo. Il lavoro è stato immenso proprio perché richiedeva di perdersi nei dettagli e lasciarsi guidare dalle suggestioni, ma poi di riorganizzare il tutto in una narrazione coerente e fruibile. Ovviamente le interviste fatte appositamente per il film sono fondamentali per legare le immagini dell’epoca, abbiamo però cercato di renderle il meno didascaliche possibile, proprio per non rovinare la forza del repertorio. 

La ricerca e la raccolta del materiale girato sono continuate fino al montaggio finale, e ogni tanto arrivava qualche cassetta nuova. Il rischio era di trovare le solite ore di cassette con persone che ballavano, luci stroboscopiche e laser, oppure di scoprire un’immagine che avrebbe potuto potenzialmente cambiare la narrazione e il destino del film.

Qual è il tassello che più ti ha emozionato montare?

La parte più emozionante del montaggio è stata vedere il film prendere forma dal nulla, creando una struttura estetica che si trasformasse naturalmente in una narrazione. Sin dalle prime immagini, il film ha iniziato a raccontare una storia per conto suo. A volte, un’immagine che sembrava insignificante il giorno prima diventava improvvisamente illuminante il giorno successivo, catturando un’emozione. 

C’è qualcosa che non compare nel montaggio finale ma che ti ha colpito particolarmente?

In realtà, siamo riusciti a inserire praticamente tutto ciò che abbiamo trovato.

Qui potete leggere la recensione di Cocoricò Tapes. Continuate a seguire FRAMED. Siamo anche su InstagramFacebook e Telegram!

Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.