Copenhagen Cowboy. Magnus Nordenhof Jønck / Netflix COURTESY OF NETFLIX © 2022
Copenhagen Cowboy. Magnus Nordenhof Jønck / Netflix COURTESY OF NETFLIX © 2022

Uscita il 5 gennaio 2023 su Netflix. 6 puntate. Seconda opera televisiva, seconda opera per una piattaforma streaming. Il ritorno di Nicolas Winding Refn nella sua natia Danimarca. Copenaghen Cowboy è un lisergico noir thriller dalla trama scarna, forse fin troppo.

C’è del marcio in Danimarca: la sinossi

La protagonista, Myu, interpretata da Angela Bundalovic, che recita con un volto da sfinge egizia (vista la totale assenza nel personaggio di uno spettro emotivo), si destreggia tra mafiosi albanesi, creature soprannaturali (forse vampiri), e immigrate cinesi. La miniserie viaggia tra un’ambientazione mafiosa realistica, ma refniana, enigmatici personaggi ed eventi che talvolta ricadono nell’incredibile. Anche Myu non è una persona “normale”, ma un portafortuna umano con eccellenti doti nel combattimento a mani nude.

Forse questo insieme di dati farebbe pensare ad un film di fantascienza di serie B. Ma il demiurgo di questa creature è Nicolas Winding Refn, che ci regala un prodotto televisivo spiazzante capace di repellere o incantare lo spettatore.

Una tecnica sopraffina (che non riesce a salvare totalmente la trama)

Il comparto tecnico risulta impeccabile. La fotografia è “acida”, volutamente giocata su quei forti contrasti cromatici, ben noti nei lavori del regista, che ipnotizzano l’occhio dello spettatore. Un’opera di Refn è riconoscibile soprattutto dai suoi meravigliosi colori. Questo stile si affianca al tocco del direttore della fotografia Magnus Nordenhof Jønck: insieme regalano alcuni fotogrammi che sono veri e propri dipinti.

La lenta e meticolosa regia di Refn tinge la miniserie di un constante presagio di violenza e morte. La colonna sonora, dove torna il suo storico collaboratore Peter Peter, è un feroce battito animale che lega calma e violenza all’interno degli episodi. I potenti ritmi elettronici e mortuari incorniciano magnificamente l’opera.

Ma i difetti sono altrettanto evidenti. La sceneggiatura è incentrata su una protagonista enigmatica che si scontra con un sotto-mondo popolato di gangster e mostri soprannaturali. Ma il tutto risulta poco approfondito e talvolta inutile ai fini della trama. I misteriosi eventi e personaggi della serie, quelli più immersi nel soprannaturale, appaiono piatti, senza che sopra vi venga posto un particolare accento.

I flashback e le rivelazioni sui vari personaggi sono scollegati dalla meta finale del percorso vendicativo di Myu. Percorso che non sembra nemmeno esserci nelle prime puntate. Quello che poteva sembrare un viaggio semi-mistico avvolto da un ombroso passato, alla Caine di Kung-Fu, è in realtà un prosastico piano inclinato verso la vendetta. Quando giunge la resa dei conti finale, siamo più storditi che edotti. Decisamente la storia annega nei virtuosismi tecnici, e risulta l’aspetto più debole dell’opera.

Refn: esteta dell’ultimo millennio

La sua carriera inizia nel 1996 con Pusher, primo di una trilogia omonima. Si esprime come vuole, fuori dai movimenti (sono gli anni del Dogma 95), ma dentro regole proprie. Fino a Drive (2011) Refn aveva sempre girato i film in ordine cronologico (ovvero in sequenza con gli eventi in ordine di sceneggiatura), come John Cassavetes. Unisce un forte realismo ad una regia lenta e analitica. Tratta gli argomenti scelti in maniera estremamente personale. Persino la materia vichinga di Valhalla Rising (2009) è plasmata secondo la sua cifra artistica.

Il daltonismo ha portato il regista a scelte cromatiche che hanno reso i suoi film estremamente riconoscibili. Opere come Only God Forgives (2013) e The Neon Demon (2016) irretiscono gli occhi degli spettatori con i loro colori accesi e violenti.

Ha dichiarato spesso che la sua più grande influenza cinematografica è Alejandro Jodorowsky, al quale rende omaggio con uno stile acido e allucinatorio.

Copenaghen Cowboy in breve

Potrebbe non piacere, non tornare a livello di trama, che spesso è sottotono rispetto all’aspetto estetico ipnotico. Vi assicuro però che i colori di certe inquadrature e sequenze varranno più di mille frasi o altrettanti silenzi. Uno sguardo a quest’opera psichedelica e artistica è vivamente consigliato.

Illustrazione di Eugenia Erba

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Francesco Gianfelici
Classe 1999, e perennemente alla ricerca di storie. Mi muovo dalla musica al cinema, dal fumetto alla pittura, dalla letteratura al teatro. Nessun pregiudizio, nessun genere; le cose o piacciono o non piacciono, ma l’importante è farle. Da che sognavo di fare il regista sono finito invischiato in Lettere Moderne. Appartengo alla stirpe di quelli che scrivono sui taccuini, di quelli che si riempiono di idee in ogni momento e non vedono l’ora di scriverle, di quelli che sono ricettivi ad ogni nome che non conoscono e studiano, cercano, e non smettono di sognare.

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