“Forse allora.. l’anima brucerà di un amore ineffabile”. Un risveglio dall’incubo, la paura, la vergogna, un crocifisso, soliloquio in preghiera. Nella Francia occupata dai nazisti, il cuore di una giovane monaca (Catherine Bertoni de Laet) è diviso da un tormento esistenziale. Inizia così il cortometraggio di Lorenzo Quagliozzi intitolato De l’amour perdu, presentato all’80ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nella sezione Settimana Internazionale della Critica.
Il tormento esistenziale tra Dio e l’amore
Lorenzo Quagliozzi, con delicatezza, ritrae sul volto umano il dissidio interiore tra Dio e l’amore sepolto tra le braccia della morte, lo racconta enfatizzando i colori freddi, le penombre silenti e le dinamiche suggestive, che ricreano le sfumature della sofferenza di chi sa aver smarrito tutto, la pace, la sicurezza e l’ardore.
Una confusione intima che nasce da un periodo buio del regista, per sua stessa ammissione, e che si esaurisce con il dialogo fulmineo e afflitto tra la monaca e la sua giovane amata (Francesca Osso). Una storia di inquietudine morale, di castigo spirituale, imperfezione e colpa nei confronti di sé e del proprio ritratto più profondo.
La regia, pungente e ricercata, lascia spazio soltanto alle note più gravi del respiro e dell’affanno mortale. De l’amour perdu è un’esperienza visiva e introspettiva fortissima, gelida e tagliente come il corpo quando si separa dall’anima, e come il sacro quando si rimette alla condizione umana dell’amore che affonda nella pelle, nella carne e nell’espiazione del peccato, soprattutto quando peccato non è.
Il tessuto narrativo sublima il rimpianto, scava nei sentimenti più abili nel far male e, con grande pulizia, restituisce uno spazio destinato alle creature incapaci di sopportare e superare l’ingiusta colpa di amare e di stare al mondo.
Quagliozzi è prezioso ed elegantissimo nei dettagli, fatti di pochissime parole e moltissime immagini liturgiche, somiglianti ad affreschi d’arte, che si ammirano attraverso il pianto, la pioggia, una sigaretta che si consuma tra le dita, e il volto all’insù della monaca, in attesa di una liberazione dal suo supplizio, che forse non arriverà mai.
La regia di Lorenzo Quagliozzi
Quanta grazia nei piani sequenza, in grado di ridare vigore al malessere dello spirito che si rifugia nella tristezza. Il giovane regista non teme di toccare ciò che l’uomo nasconde, anzi lo rivela, e lo fa rinascere per mezzo del suo cinema così raffinato e così vivido nella sua intimità. Lascia sfiorare il senso di angoscia, la fa respirare e la elabora con la forma più alta dell’esistenza, che può essere Dio, o l’amore, o forse sono la stessa cosa. E per entrambi si vive e si muore, in una lacrima.
Su FRAMED altri contenuti su Venezia 80, anche su Facebook e Instagram.