Enea di Pietro Castellitto
Enea di Pietro Castellitto Courtesy of Vision Distribution

Come nell’esordio I predatori, anche in Enea, Pietro Castellitto è regista e protagonista. Questa volta il regista decide di portare sul set anche il padre e il fratello, Sergio e Cesare Castellitto. Il film, presentato al Festival del Cinema di Venezia 80, è in sala dall’11 gennaio, prodotto da Lorenzo Mieli per The Apartment (gruppo Fremantle) e da Luca Guadagnino per Frenesy.

Enea, la trama

Enea (Pietro Castellitto) è figlio di una famiglia borghese di Roma nord e proprietario di un ristorante di sushi. Passa le giornate con Valentino (Giorgio Quarzo Guarascio anche noto come Tutti Fenomeni), amico da sempre che ha preso da poco il brevetto da aviatore. I due giovani, costantemente annoiati, frequentano le feste più esclusive della capitale spacciando cocaina. Fa da cornice la famiglia di Enea, il padre psichiatra (Sergio Castellitto), la madre giornalista (Chiara Noschese) e il fratello Brenno (Cesare Castellitto), giovane problematico. Tutto arriva al collasso quando Enea finisce in un traffico di droga pericolosissimo, che gli risulta difficile da gestire, ma l’ancora di salvezza risulterà essere Eva (Benedetta Porcaroli) e l’amore che il protagonista prova per lei. 

La borghesia inusuale di Pietro Castellitto

La borghesia di Enea sembra ritratta dalla mano di De Chirico in un quadro dell’arte dell’assurdo: è eccessiva, pletorica, sovrabbondante di vizio e deturpazione del talento. Un impulsivo ritratto borghese inusuale, raccontato dal borghese stesso, un po’ per lavoro, un po’ per ambizione e un po’ per distruggere il falso mito che si imbatte sul nepotismo, in forza del quale, “se sei figlio di”, allora non hai possibilità di poter essere nient’altro che il nulla.

Ed è forse per questo tormento ingiustificato che Pietro/Enea, impavido, racconta e vive ciò che egli stesso detesta, calandosi nel rancore remoto e profondo, quello che lo affligge a tal punto da farci un film. Un affanno che proviene da un dolore inspiegabile, se non attraverso le immagini del cinema (a quanto pare), e da una provenienza difficile da sradicare. 

Salvarsi, se si può

Come si fa allora a salvarsi da una borghesia di cui si è costretti a subirne fino all’ultimo sfarzo nauseabondo? Forse assecondandola, o forse schivandola. Pare che per il protagonista la risposta stia nel dimostrare di essere diventati degli adulti con la pancia piena, con le AirPods costantemente nelle orecchie incuranti di ascoltare il mondo esterno, e nell’essere troppo belli e intelligenti per dipendere da qualcuno, se non dal conto in banca del padre self made man e dal sottobosco criminale, ovvio.

Enea, nullista quasi per vocazione, interpretato dallo stesso Castellitto, si muove sul paradosso del nonsenso dell’esistenza in una continua ricerca del movimento e del conflitto, tipico della battaglia che fa scontrare gli uomini solo per sentirsi vivi, anche se insignificanti.

Enea, una ballata cinica e sarcastica

Il film piace nel suo essere maldestro, imperfetto, alle volte forse troppo, perdendosi per strada. La trama traballa e torna in equilibrio solo grazie a un linguaggio veloce, istantaneo, facile, coniugando un registro stilistico che mette insieme i personaggi in una ballata cinica e sarcastica, fatta di contrapposizioni tra il reale e il surreale.

Enea si presenta come un puzzle illogico che racconta del male difendendolo. È un film sulla giovinezza che ha fretta di invecchiare, esattamente come la primavera ha fretta di arrivare. “Che fretta c’era, maledetta primavera?”. Ma che fretta ha Enea di toccare il disumano della vita, se questo già l’ha compreso? 

Roma, la borghesia, il sushi, il lusso, il niente, qualcuno direbbe il “bla bla bla..”. Basterebbe poco per salvarsi dall’incubo infernale fatto di cliché, e il non risvegliarsi mai più, forse, è l’effettiva salvezza. “Noi siamo un clan mamma?”, neanche la parola “famiglia” riesce a farsi spazio nel declino di una Roma arrogante e ricolma di livore.

E allora “che resta di un sogno erotico se…”, resta l’amore, quel sentimento che consente di resistere fino a quando si diventa vecchi. Ma vecchi per davvero.

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Annamaria Martinisi
Sono il risultato di un incastro perfetto tra la razionalità della Legge e la creatività del cinema e la letteratura. La mia seconda vita è iniziata dopo aver visto, per la prima volta, “Vertigo” di Hitchcock e dopo aver letto “Le avventure di Tom Sawyer” di Mark Twain. Mi nutro di conoscenza, tramite una costante curiosità verso qualunque cosa ed il miglior modo per condividerla con gli altri è la scrittura, l’unico strumento grazie al quale mi sento sempre nel posto giusto al momento giusto.