Benoît Dallongeville e Anne Balbot ne L'Experiénce Zola. Credits: Bellota Films/Stemal Entertainment.

Qual è il confine? Fra rappresentazione e realtà, film documentario e di finzione, cinema e teatro, privato e pubblico, amore e odio, potere e subordinazione? È nell’impossibilità di fissare in modo netto e stabile la linea tra questi poli (dunque la loro stessa tenuta) che sta la forza e il fascino conturbante de L’Experiénce Zola, il lungometraggio di Gianluca Matarrese Evento Speciale alle ventesime Giornate degli Autori (sezione autonoma e parallela dell’80ª Mostra del Cinema di Venezia), prodotto da Dominique Berneaud per Bellota Films e Donatella Palermo per Stemal Entertaniment e distribuito nelle sale italiane da Luce Cinecittà.

Osservare la vita come un esperimento

C’è un testo da portare in teatro, L’assommoir (L’ammazzatoio) di Émile Zola, lo scrittore naturalista che riproduceva (facendoci osservare) la società come uno scienziato effettua un esperimento e un medico un’autopsia. I “cadaveri” lasciati dalla sua storia sono quelli di Gervaise e Coupeau, lei lavandaia e lui zincatore nella Francia operaia del tardo Ottocento. L’amore fra i due cede sotto il peso dell’inferno sociale, tra incidenti sul lavoro, alcolismo, povertà e degradazione. Succedeva allora, succede oggi, sul palcoscenico del mondo diviso in classi, dove «sotto la facciata del lusso c’è qualcuno che muore».

Ma quello che interessa ad Anne Barbot, la regista che interpreta Gervaise nel suo spettacolo in fieri e sé stessa nel film di Matarrese, è «indagare il reale e vedere come ci porta alla finzione». Per il “suo” Coupeau, sceglie quindi l’attore e vicino di casa Benoît (Benoît Dallongeville), che nella vita corteggia non corrisposto Anne, timorosa (dopo una recente separazione, come Gervaise) di legarsi nuovamente a qualcuno. È Benoît o Coupeau allora che durante le prove insiste per un bacio da Anne/Gervaise? È la regista e partner in scena ad avere ancora il controllo o l’attore ha scavalcato quel confine incerto? Ed è stato lui o lei a volere che lo scavalcasse? Quanto c’è di vero e quanto no in ciò che vediamo?

Destino di due corpi

Matarrese e i suoi due protagonisti co-autori contribuiscono a confonderci e destabilizzarci qui e oltre, mentre la coppia, dalla preparazione al debutto, dal debutto alle repliche, segue il destino di unione e rottura dei personaggi di Zola. Ed è la stessa presenza del filmmaker (che dopo l’autobiografico La dernière séance torna ad esplorare le dinamiche sadomasochiste dei rapporti di coppia) a farsi percepibile, tra macchina a mano e momenti in cui Anne si rivolge a chi la sta inquadrando.

Il livello di ambiguità cresce sino a un finale in cui la dialettica fra reale e illusorio raggiunge il suo apice. E le emozioni di, e attraverso, due corpi che si cercano e perdono, fluttuano tra i simulacri e sbattono contro la materia del mondo, sono forse l’unico dato indiscutibile. Nella foresta di ombre del nostro (male di) vivere e creare.

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Emanuele Bucci
Gettato nel mondo (più precisamente a Roma, da cui non sono tuttora fuggito) nel 1992. Segnato in (fin troppo) tenera età dalla lettura di “Watchmen”, dall’ascolto di Gaber e dal cinema di gente come Lynch, De Palma e Petri, mi sono laureato in Letteratura Musica e Spettacolo (2014) e in Editoria e Scrittura (2018), con sommo sprezzo di ogni solida prospettiva occupazionale. Principali interessi: film (serie-tv comprese), letteratura (anche da modesto e molesto autore), distopie, allegorie, attivismo politico-culturale. Peggior vizio: leggere i prodotti artistici (quali che siano) alla luce del contesto sociale passato e presente, nella convinzione, per dirla con l’ultimo Pasolini, che «non c’è niente che non sia politica». Maggiore ossessione: l’opera di Pasolini, appunto.

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