Gli-ultimi-giorni-di-Gérard-Philipe
Gli-ultimi-giorni-di-Gérard-Philipe

Il libro di Jérôme Garcin dedicato agli ultimi momenti della vita del giovane attore francese Gérard Philipe scomparso a soli 36 anni

– Qual è il suo pensiero ricorrente?

– L’urgenza delle cose da fare.

– Che cosa la stupisce di più della vita?
– La sua brevità.
– Dove si sente più a suo agio?
– A casa mia.

Il 25 novembre 1959 si spegneva Gérard Philipe. Giovanissimo, nel pieno della sua vita artistica e personale, attore sia sul palco teatrale che al cinema, impegnato politicamente e ricco di carisma. Muore a soli 36 anni con appunti e progetti di personaggi mai recitati e scenari rimasti tra le note a margine dei libri che divorava.

La casa editrice Gremese pubblica quest’anno la traduzione, a cura di Mariella Fenoglio, del libro scritto da Jérôme Garcin, Gli ultimi giorni di Gérard Philipe (il titolo originale è Le dernier hiver du Cid) dedicato alla ricostruzione degli ultimi giorni dell’attore: attraverso i ricordi, le informazioni e la conoscenza personale, l’autore dispiega la memoria di un tempo dolorosamente breve in un diario che raccoglie diversi punti di vista, nonché la presentazione appassionata del mondo che girava attorno a Gérard, tra registi, drammaturghi, familiari e amici sinceri.

© FILMS MARCEAU / COCINOR

L’autore dell’opera non è solo uno scrittore appassionato, ma uno dei personaggi centrali di ciò che continua ad esistere della memoria dell’attore: è il marito di Anne-Marie, figlia di Gérard. A lei è dedicato il libro che racchiude le settimane in cui suo padre scompariva poco a poco.

Agosto 1959

Inizia con l’ultima estate a Ramatuelle, il libro di Garcin: lontano dalla ribalta, dagli spettacoli teatrali e dagli impegni militanti. È un riprendere fiato, prima di tornare in città e ritrovarsi nei panni di qualcun altro, senza un attimo di pace per il vero sé stesso. Con Anne, sua moglie, e i suoi bambini, è tranquillo ma presagisce qualcosa che sente nelle membra, come un sibilo allarmante che inizia a mettere in crisi il futuro. Dopo un passaggio a Cergy, in cui si sente molto più a suo agio che nei salotti parigini, Gèrard ha il tempo di andare in Inghilterra per ammirare Laurence Olivier, che interpreta Coriolano alla Royal Shakespeare Company. Torna in città con il sogno e l’obiettivo di interpretare Amleto, prima o poi.

Ritorno a rue de Tournon

L’autore divide la narrazione in capitoli che fondono ricordi, illuminazioni, voleri testamentari ed emozioni tramandate in una suddivisione che porta alla descrizione, giorno per giorno, fino a quel fatidico 25 novembre, nell’appartamento di Parigi, in rue de Tournon.

Gérard si sente stanco e ha dolori lancinanti che vanno e vengono, attraverso le parole di Garcin emerge dalle citazioni, dai nomi e i collegamenti, il variegato mondo che lo accoglieva come una “star”, una grande promessa. Ma anche i dubbi, di un giovane uomo che voleva scegliere ruoli difficili, registi radicali, e le confidenze, affidate solo a persone fidate come il dottore che lo mise al mondo, Pierre Vellay. “Gli ultimi giorni” sono una summa di una vita breve ma intensa.

La sua carriera cinematografica iniziata a metà degli anni ’40 è densa di ruoli, personaggi: lavora con Alain Resnais ma arriva al successo con Il diavolo in corpo (Le diable au corps) del 1947, di Claude Autant-Lara, per cui diventa il simbolo di una tormentata gioventù del dopoguerra. Incontrerà sul suo cammino anche René Clair e Max Ophüls. Relazioni pericolose (Roger Vadim, 1959) è l’ultimo film che gira, proprio nel 1959. Poco prima di morire accetta il ruolo per Il Conte di Montecristo, che non si realizzerà mai. Gérard Philipe non è solo un bel volto, dai tratti affilati e gli occhi ipnotici, ma anche un solido uomo di sinistra. Venne eletto presidente del sindacato francese degli artisti e degli interpreti (S.F.A.), impegnato a favore dei “mestieranti” dello spettacolo.

Garcin scrive come se fosse Gérard a parlare: dei tempi al Teatro Popolare Nazionale, delle amicizie politiche, della voglia incontenibile di impegnarsi con il suo lavoro, come se volesse interpretare tutti i ruoli della letteratura esistente, da quella antica alla sua contemporanea.

Che fortuna (…) fare un mestiere come il suo e attraversare al galoppo i secoli e i paesi, portare un giorno la corazza e un altro la sottana (…)

La bugia

Quando si reca in clinica per quella che dovrebbe essere una veloce operazione, Gérard si registra con un nome falso. Al suo fianco rimane la moglie, Anne (e forse nella sua mente già inizia a delinearsi quel racconto poi pubblicato nel 1963 come dichiarazione d’amore che non ha avuto tempo di pronunciare). Passa la madre dell’attore, di tanto in tanto.

Il medico che proverà a salvarlo lo conosce bene, a teatro, al cinema, ma non servirà a molto. E da lì agli ultimi giorni gli istanti di Gérard galleggiano su una bugia, raccontata di comune accordo dalla moglie e dal dottore. Il tumore ha conquistato la sua carne senza intaccare lo spirito, che già evapora verso mete balneari e narrazioni avvincenti. Morirà nel suo letto, tranquillo.

Sul comodino è posato il volume delle Troiane, con un tagliacarte di madreperla piantato a pagina 123 dove, in margine, il leitmotiv: «Per me, tra vent’anni».

La fine, silenziosa

Seppellito con il costume del Cid, che aveva indossato centinaia di volte, attira a sé una folla di ammiratori e compagni d’avventura. Jacques Prévert, Fernandel, Jean Renoir, Vittorio De
Sica, Luis Buñuel, Henri-Georges Clouzot
e tanti altri mandano telegrammi, messaggi.

Le pagine scritte evocano un’esistenza così ricca da stare a fatica in un volume del genere: è un’opera da leggere attentamente per non perdere nulla, anche perché si consolida come una delle più complete testimonianze relative al personaggio di Gérard Philipe.

Continuate a seguire FRAMED anche su Facebook e Instagram.

Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui