Il Progetto 1619

Una nuova Origin Story, è il sottotitolo del libro di Nikole Hannah-Jones, Il progetto 1619, una raccolta di saggi e poesie nata da una pubblicazione del New York Times Magazine. È da qui che nasce la docu-serie Hulu (in Italia su Disney+) candidata a tre Emmy quest’anno.

La nuova Origin Story è quella degli Stati Uniti, the Land of the Free, che tuttavia fonda la sua identità, la sua economia, le sue leggi e la sua società sul trauma mai riconciliato della schiavitù.

Era l’estate del 1619, da cui appunto il titolo, quando una nave inglese faceva sbarcare in Virginia il primo carico di esseri umani, trascinati dall’Africa occidentale e venduti come bestiame. Erano circa venti. Non fu quello l’inizio della schiavitù in America, già pre-esistente, ma fu il punto di svolta, il momento in cui le colonie britanniche, poi Stati Uniti, stabilirono un ordine preciso, una gerarchia sociale di cui ancora oggi restano i segni.

È come se ogni decisione sociale e politica venisse ancora presa per impedire agli afroamericani di raggiungere lo status di piena cittadinanza.

Parafrasando ciò che viene spiegato nei dettagli nei sei episodi della docu-serie, questa è la tesi di partenza del Progetto 1619.

La schiavitù, punto focale della Storia statunitense

La schiavitù, oggi ridimensionata come fenomeno del passato, si rivela invece una ferita ancora aperta, con estreme conseguenze in ogni ambito della vita negli Stati Uniti.

Dalla schiavitù persiste l’idea infatti che le persone nere provino meno dolore delle persone bianche (è il cosiddetto racial empathy gap), con la disastrosa impennata di morti perinatali o di parto per le donne nere. Un fenomeno sociale gravissimo di cui non si parla ancora abbastanza, nonostante proprio quest’anno un altro prodotto candidato agli Emmy dello stesso collettivo del Progetto 1619, l’Onyx Collective, lo racconti nello specifico: Aftershock, sempre su Disney+.

Alla schiavitù è direttamente imputabile l’attuale sistema economico e carcerario degli Stati Uniti (argomento ben più approfondito nel documentario XIII di Ava DuVernay, su Netflix, in abbonamento e gratis sul canale YouTube). Allo stesso modo lo è la violenza contro i corpi neri e lo sono le leggi che negli ultimi anni hanno ridotto la libertà di voto agli afroamericani.

Sono stati 400 anni di guerra, dal 1619 a oggi, afferma Nikole Hannah-Jones, ideatrice del progetto e voce narrante-guida della docu-serie. A lei, Premio Pulitzer, sono affidate le domande e le interviste nel corso di questo lungo viaggio nella storia statunitense, a partire dalla sua stessa storia personale.

Lo scopo delle oltre sei ore di documentario è quello di riscrivere la Storia, aggiungendo dati e fatti a cui di solito non viene dato spazio sui libri: storia afroamericana che in realtà è, semplicemente, storia americana.

Riconoscere il crimine per riparare il debito

Un episodio in particolare di Il Progetto 1619, l’ultimo, sintetizza il senso ultimo del documentario. Si intitola Justice ed è anche l’episodio specifico che ha raccolto le nomination agli Emmy. Come i precedenti usa filmati e fotografie storici e di repertorio, uniti alle interviste sul campo di Nikole Hannah-Jones.

Fotografia, colonna sonora regia e montaggio, già molto curati nella serie, raggiungono in questo episodio un livello ulteriore, prova del fatto che su di esso si intendeva investire fin dall’inizio come punta di forza del prodotto. Il tema, infatti, è quello più denso e al tempo stesso più ampio, la giustizia e soprattutto l’ingiustizia scaturita dalla schiavitù e dalla conseguente abolizione (e trasformazione in altri sistemi di oppressione).

Esiste un sistema di calcolo per quantificare il debito degli Stati Uniti nei confronti dei cittadini discendenti dagli schiavi. La reparation, così è chiamata è una questione affrontata fin dai tempi di Lincoln, con la cosiddetta legge dei 40 acres and a mule, i 40 acri che sarebbero spettati a ogni nuovo uomo libero, poi decaduta con l’assassinio del Presidente.

Oggi quel debito ammonta a circa 14 miliardi di dollari ed è la base di tutte le diseguaglianze sociali e le contraddizioni tra i bianchi e i neri negli Stati Uniti. Fino a quando non verrà riconosciuto, servirà a perpetrare un trauma collettivo, afferma Hannah-Jones in chiusura.

Il Progetto 1619 serve a proprio a questo: a riconoscere, re-imparare e riconciliare. È un punto di partenza per osservare con occhi diversi il presente, ma rimane prima di tutto uno strumento per capire il passato.

Bonus

Justice (sesto episodio) e Capitalism (quarto episodio) contengono due brani che vale la pena segnalare. Si tratta di due poesie in musica di Gil Scott-Heron. Rispettivamente si intitolano Who’ll Pay Reparations on My Soul e Whitey on the Moon.

Quest’ultima è presente anche nel settimo episodio di Lovecraft Country ed è una poesia parlata che affronta il tema della disparità sociale: mentre l’uomo bianco è sulla Luna…io non ho luce, né acqua né un bagno.

Vi lasciamo qui i link per ascoltarle:

Whitey on the Moon – ASCOLTA

Who’ll Pay Reparations on My Soul ASCOLTA

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