Luca Gallone. Foto CAMPOBASE
Luca Gallone. Foto CAMPOBASE

Attore poliedrico, attualmente impegnato in diversi progetti, Luca Gallone inizia giovanissimo dal teatro, per passare poi alla serialità (come Gomorra, in cui interpreta il personaggio di Totò O’Mulatto) e al cinema con registi come Gianni Amelio, Daniele Luchetti ed Eleonora Danco.

Di origini napoletane, è dalla prima stagione nel cast della serie evento L’Amica Geniale, tratta dai romanzi di Elena Ferrante, nel ruolo del padre di Elena, Vittorio Greco, e sempre dalla prima stagione è nel cast di Vincenzo Malinconico, avvocato di insuccesso, serie tratta dai romanzi di Diego De Silva, in onda con i nuovi episodi della seconda, ogni domenica dal 1° dicembre su Rai 1.

Con il sogno di tornare presto a teatro, Luca Gallone si divide tra una moltitudine di ruoli diversi tra loro, mettendo tutto se stesso in ognuno di essi, cercando di rimanere sempre fedele al grande amore che nutre verso questo mestiere, sin da quando, al liceo, mise in piedi una sua compagnia di attori. Gli abbiamo fatto qualche domanda.

L’intervista

Ultimamente stai vivendo un periodo molto ricco, a livello di ruoli, tutti molto diversi tra loro.

Esatto, sì, questa è una cosa che mi rende molto felice, la diversità dei ruoli.

A partire dalla tua esperienza con la serie Vincenzo Malinconico, arrivata alla seconda stagione.

Con il personaggio di Benny La Calamita, in Vincenzo Malinconico, avvocato di insuccesso, per quanto riguarda l’approccio attoriale, sono tornato a giocare all’interno del registro della commedia brillante, una serie che possiamo definire d’autore, scritta con grande attenzione, anche appunto nel lato più comico. Questo è stato particolarmente stimolante per me, e ne sono felice.

Quando mi hanno proposto questo personaggio ciò che mi ha fatto accettare era proprio questo fatto di tornare un po’ alle origini, venendo soprattutto dal teatro comico brillante. Dopo Gomorra, L’Amica Geniale, storie poliziesche, drammatiche, fare Benny La Calamita era per me un ritorno, ma anche un’opportunità per farmi conoscere in una veste nuova. Soprattutto in Italia è un po’ difficile per alcuni attori che sono, tra virgolette, figli di un dio minore, farsi conoscere e apprezzare per tutto quello che possono dare. Per me la definizione di attore è totale, sei veramente un attore quando riesci a rendere tuoi tutti i registri e a rappresentare tutte le umanità. Per cui comico, drammatico, commedia, giallo, thriller, in italiano, in napoletano, in romano, in inglese, e perché no pure in giapponese.

Per cui per Benny ho accettato con grande slancio proprio per questo.

Dopo il grande successo della prima stagione è in onda da poco la seconda: com’è tornare sul set di Malinconico e come cambia (o cambierà) il tuo personaggio?

Benny in prima stagione, sebbene sia un uomo fatto anagraficamente, lo percepiamo adolescenziale. Non sa ancora cosa vuol fare da grande, e vive un’opprimente presenza paterna. Il padre è un grande avvocato, il primo avvocato della città, il più ricco, il più potente, il più influente, mentre lui è il rampollo designato, l’erede al trono dello studio.

Ma Benny voleva fare l’attore, e non l’avvocato, un po’ come me, che litigavo con mio padre che mi diceva: ‘Tu sei pazzo, vuoi fare l’attore’. La mia famiglia è lontana anni luce da quelle che sono state le mie scelte, per cui mi ci sono ritrovato molto anche in questo, nel rapporto padre-figlio. Ho ritrovato buona parte, almeno l’80 per cento, poi quel 20 che rimane è una medaglia che mi metto sul petto, nel senso che Benny poi ha ceduto, arrendendosi alla volontà paterna, mentre io no.

Riguardo al personaggio e a quello che succederà nella seconda stagione sono convinto di una cosa, che Benny sia di fatto un grandissimo avvocato, anche più bravo del padre, e soprattutto è una persona estremamente intelligente, tra i personaggi più intelligenti che conosciamo nella serie, forse anche più lucido di Malinconico, da un punto di vista professionale ma anche umano e affettivo.

Ha un’intelligenza emotiva che si riflette nel rapporto con Vincenzo. Pieno di amicizia, pieno d’amore fraterno nei confronti dell’amico, Benny vuole veramente bene a Vincenzo – che poi a Vincenzo vogliono bene tutti perché come fai a non volergli bene – ma lui forse è l’unico che lo aiuta materialmente, lo raccoglie quando è ridotto a pezzi, dopo la relazione finita con Alessandra (nella serie interpretata da Denise Capezza, N.D.R.), lo aiuta sia moralmente che economicamente. Col suo fare scostumato glielo dice più di una volta e lo convince ad accettare il lavoro nel suo nuovo gigantesco studio. Benny intuisce che anche Vincenzo sia un bravissimo avvocato, un genio, capace di risolvere situazioni complicate, e lo prende nella sua squadra perché vuole solo gente vincente, gente forte.

Che rapporto hai avuto con De Silva è i romanzi da cui è tratta la serie?

Per quanto riguarda la mia carriera è una continuità rispetto agli autori che ho affrontato, Saviano, Elena Ferrante, non ultimo Diego De Silva, col quale abbiamo stabilito un bellissimo rapporto. Quando vide il mio provino si innamorò del mio modo di interpretare il personaggio. Mi fregio di essere stato un muso ispiratore diciamo, faccio una declinazione al maschile di questo termine straordinario; sono stato il muso di Diego per il Benny La Calamita del suo ultimo libro, Sono felicedove ho sbagliato?, da cui è tratta anche parte della seconda stagione, scritto proprio durante le riprese, periodo in cui eravamo in contatto continuo con lui.

Il feedback sull’ispirazione del libro è stato diretto, parlavamo molto, io gli filtravo le considerazioni di quello che poteva essere Benny, che in questo libro da un punto di vista letterario diventa un coprotagonista.

Anche perché le caratteristiche di Benny fanno da contraltare a quelle del personaggio di Malinconico, risultano complementari.

Sì la loro è una geometria perfetta, quella tra Vincenzo e Benny, un incastro. Ciò a cui tenevo particolarmente era cercare di giocare bene all’interno del registro di commedia, per questo il feedback che ho avuto anche da Diego, l’autore, che poi si è tradotto anche nella stesura del libro, al quale spero ne seguiranno molti altri, è stato bellissimo.

Luca Gallone con Massimiliano Gallo nella serie TV Vincenzo Malinconico

Un altro tassello importante della tua carriera viene rappresentato dal ruolo di Vittorio Greco in L’amica geniale, arrivata alla stagione conclusiva. Come vivi il fatto che si concluda questo percorso dopo sei anni?

Il percorso umano, professionale e anche fisico, portati avanti con L’amica geniale, rientrano in un’esperienza stupenda. Iniziai nel 2018 con tre o quattro provini, il casting veniva fatto in maniera scientifica da Saverio (Costanzo, N.D.R.) e Laura Muccino e Sara Casani, le due director casting della serie. Dopo il lavoro attoriale, la stesura, i trattamenti, ci fu la ricostruzione edile e scenografica del Rione Luzzatti di Napoli, però vicino Caserta.

Dopo la prima stagione una parte della critica imputò a Saverio Costanzo una certa finzione, ma era una vera e propria scelta stilistica, che personalmente ho apprezzato. È stata una visione, una sua volontà, che ha realizzato andando contro tutta una serie di cose, e l’ho stimato veramente tanto per questo, è stato rivoluzionario. Poi io ci sono nato vicino al Rione Luzzatti ed è stato straordinario vedere la perfezione con cui è stato ricreato in scenografia, era perfettamente identico a quello reale.

Poi non a caso, c’è una collaborazione con HBO, un colosso della serialità e del cinema mondiale, è grazie a loro e alla Rai che si è reso possibile un percorso virtuoso di grande qualità. Stiamo parlando di un fenomeno letterario di una grande potenza, che mi fa pensare a Gabriel García Márquez o anche a La casa degli spiriti di Isabel Allende. È un’epopea che abbraccia un’epoca attraverso il mondo che cambia, parte dagli anni ’50 per arrivare poi agli anni ’90 e ai giorni nostri, portando un’intensità incredibile.

Adesso purtroppo il rione verrà smantellato; questa è una novità perché inizialmente, anche da un punto di vista politico, pare che si volesse creare un polo cinematografico. Sarebbe stato bello non solo per il territorio, ma proprio per la nazione. Realizzare magari un museo, o tutta una serie di cose che non si faranno più. La notizia è arrivata proprio alla fine di questo percorso, e ci tengo a sottolineare che se così sarà è triste, perché lì si sono intrecciate tra attori, registi, scenografi, maestranze, figurazioni, tante storie, c’è passata tanta vita, dentro quel rione, quel set.

Come hai costruito il personaggio di Vittorio?

Abbiamo iniziato i primi due anni con Saverio Costanzo, per me sono stati anche i più intensi, dal punto di vista di scene, soprattutto la prima stagione. Dopo i provini arrivò la bella notizia, iniziammo poi a provare, a stendere un po’ quella che poteva essere la rilettura del personaggio. Grazie alla sensibilità, alla maestria, all’arte di Saverio e anche, consentimelo, alla mia, siamo riusciti a dare più corpo, più voce, a un personaggio che nel libro veniva descritto come il papà di Elena, senza neanche un nome.

Saverio ha colto nelle mie proposte e nelle mie istanze, nelle improvvisazioni e nelle mie considerazioni sul personaggio, quello che poi da papà di Elena, come era anche in sceneggiatura, è diventato Vittorio Greco.

Vittorio è anche uno dei motivi per cui Elena diventa la donna che vediamo.

Questa è una cosa che sostengo da sempre: sono fermamente convinto che Elena diventi una grande scrittrice innanzitutto grazie alla volontà del padre, e all’amore che prova per sua figlia. Vittorio ha dei pregi e dei grandi difetti: il pregio è quello di aver amato follemente la figlia Elena, forse amando troppo solo lei, mentre la sua colpa è stata quella di amare meno gli altri figli, che finiscono tutti male. Sebbene alla fine non si salvi neanche Elena, perché resta intrappolata in quelle dinamiche infantili, nella lotta eterna con Lila.

Credo che Vittorio si rispecchiasse in Elena, vedendo in lei qualcosa che covava dentro di sé. Tutti noi abbiamo un talento, più o meno nascosto, chi ce l’ha troppo nascosto non riesce poi a tirarlo fuori, e questo è il suo caso. Magari in un altro contesto Vittorio Greco sarebbe potuto diventare un grande ingegnere, un avvocato, o un regista, o proprio uno scrittore, però non c’è riuscito per tutta una serie di motivi; un’Italia che viene da due guerre mondiali, un contesto storico drammatico in cui se non nascevi ricco morivi povero sicuramente.

Per cui lui si specchia in questa figlia e ne intuisce il talento, vede prima degli altri che Lenuccia diventerà una grande scrittrice, a dispetto della madre che vive un rapporto con lei che comprende la gelosia, seppur anche lei si rassegni, ma sempre grazie al marito. Proprio Vittorio capisce che Elena dovrà fare un percorso diverso rispetto agli altri abitanti del rione, sdoganando se stessa e diventando qualcuno, quello che forse avrebbe voluto diventare Vittorio. Questo accade grazie all’amore, al sacrificio.

Secondo me Vittorio, insieme a Enzo Scanno, è il più buono all’interno di un racconto in cui sono tutti quanti cattivi, i primi che mi vengono in mente sono i Solara. Nell’ultimo episodio che abbiamo visto c’è il matrimonio di Elisa, l’altra figlia di Vittorio, che sposa proprio uno dei Solara. Nell’ultima scena Vittorio fa un omaggio commosso e sentito alla moglie che non c’è più, e in quello ci sono anche un po’ io che rendo omaggio ad Anna Rita Vitolo, una grandissima attrice con la quale ho condiviso il set, un’attrice straordinaria, ma con uno sguardo sofferente fa capire ad Elena che ha fallito perché non è riuscito a proteggere la famiglia da queste dinamiche. Lui che era uno dei pochi ad aver preso le distanze da loro, percependone il male.

Quest’anno è uscito un altro film di cui è importante parlare: Confidenza di Daniele Luchetti, dove tu interpreti Franchino Gilara.

Con Daniele è nato un bel rapporto sul set della terza stagione de L’amica geniale e mi ha proposto di interpretare questo ruolo in Confidenza, Franchino Gilara, che è un insegnante di liceo. Sicuramente un altro ruolo per me interessante, un’altra umanità da raccontare. Confidenza è un film a tratti sperimentale, a Daniele piace molto giocare, lo ha fatto anche sul set della serie, senza dimenticare che il film è basato sul romanzo di Domenico Starnone.

Il film è per certi versi spiazzante, ma anche intenso. Adesso è disponibile in streaming sulle piattaforme, anche se ci tengo a dire che i film sono belli da guardare al cinema. Bisogna ricordarsi di alzare il culetto, uscire e andare in sala.

Passando al teatro, pur restando nel cinema: sei nel cast di N-Ego, presentato al Torino Film Festival, il secondo film da regista di Eleonora Danco. Che tipo di esperienza è stata lavorare con lei?

L’incontro con Eleonora nasce dal teatro, mi chiamò per uno spettacolo con l’Argentina di Roma tempo fa, poi lo spettacolo non si è fatto, non si è fatto ancora, ma dopo un po’ mi ha richiamato per propormi questo progetto che ho accolto subito con entusiasmo, perché a proposito di film particolari, interessanti, sperimentali e visionari, Eleonora già ci ha mostrato un po’ di questi ingredienti nelle sue precedenti esperienze cinematografiche.

Mi ha proposto questo personaggio: un produttore cinematografico cialtrone, che è uno stereotipo ma iperbolizzato, esasperato totalmente. L’esperienza è stata molto vicina anche al teatro stesso. N-Ego un docufilm, quindi alterna la finzione col documentario, attori professionisti con attori non professionisti presi dalla strada, è un progetto estremamente interessante.

Verrà distribuito al cinema?

Speriamo di sì, per ora è stato presentato lo scorso 28 novembre al Torino Film Festival. Attendiamo aggiornamenti in merito all’uscita nelle sale.

Eleonora Danco in un’intervista di Raiplay durante il TFF parla di voi, gli attori professionisti scelti per N-ego, tu, Elio Germano, Filippo Timi, definendovi attori selvaggi, motivo fondamentale per cui vi ha scelto.

Sono veramente contento, mi piace come definizione. Mi ci rispecchio perché mi piace aggredire, tra virgolette, lo spettatore. Cerco, quando posso, di sconvolgere e aggredire, di turbare, di creare tensione, di destabilizzare. Spero di riuscirci il più possibile.

I tuoi prossimi progetti? Tornerai a teatro?

Dal 2018 non calco le scene, per cui mi manca molto. Pure essendo il cinema il mio primo amore, ho cominciato a fare l’attore a teatro, l’ho fatto per quasi vent’anni, iniziando a quindici, alternando un po’ di serie televisive a tanto teatro. Ho fatto una delle ultime tournée con Luigi De Filippo, il figlio di Peppino, in Italia e all’estero, continuando per un po’ prima di cambiare direzione, forse anche un po’ per fortuna perché il teatro è moribondo, non si fanno più le grandi tournée che si facevano prima, e la gente, ma i giovani soprattutto, non va più a teatro.

I ragazzi si stanno allontanando da quella che è la live performance, dall’incontro con i grandi autori. Andare a teatro e sentire cos’ha da dire Čechov, o Pirandello, Eduardo, o Ibsen, però è importante, e utile.

Io sono un attore professionista grazie alla scuola superiore, ho frequentato ragioneria perché lo voleva mio padre, all’epoca bisognava prendere un diploma finito per riuscire a lavorare, per essere assorbito, diceva papà, ma io facevo il laboratorio teatrale e sono stato assorbito lì. Adesso sento proprio la necessità di tornare a una certa primordialità, che sta nel rapporto col pubblico.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.