La società della neve (J.A. Bayona, Spagna). Su Netflix
La società della neve (J.A. Bayona, Spagna). Su Netflix. Cr. QUIM VIVES/NETFLIX © 2022

La società della neve ha debuttato su Netflix il 4 gennaio 2024. Il film diretto da Juan Antonio Bayona lo scorso settembre ha chiuso, fuori concorso, l’80ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ed è poi stato per scelto come rappresentante della Spagna nella corsa all’Oscar per il miglior film straniero, rientrando meritatamente nella shortlist. 

La società della neve: la trama

Il film ricostruisce fedelmente quanto è accaduto il 13 ottobre 1972, quando il volo 571 delle Forze aeree dell’Uruguay, decollato dall’aeroporto Carrasco di Montevideo e diretto all’aeroporto Benìtez di Santiago del Cile, precipita sulle Ande. Sul velivolo viaggiava la squadra di rugby degli Old Christians Club per recarsi a disputare un incontro al di là della Cordigliera. È infatti tratto dall’omonimo libro-documento di Pablo Vierci che raccoglie i racconti dei sopravvissuti allo schianto.

A bordo dell’aereo vi è dunque la squadra al completo, accompagnata da tecnici, familiari e amici, ai quali si è aggiunta una persona estranea al gruppo, Graciela Mariani, che si doveva recare a Santiago per il matrimonio della figlia. Per un totale di quarantacinque passeggeri, di cui cinque membri dell’equipaggio. Nell’impatto muoiono dodici persone, precisamente all’altezza del Glaciar de las Lagrimas, nel dipartimento argentino andino di Malargue (provincia di Mendoza), altre perdono la vita nei giorni successivi. Sedici alla fine sono i sopravvissuti tratti in salvo solo il 22 dicembre, dopo 72 giorni. 

Lo sguardo lucido e sicuro di Bayona

L’ultimo lavoro di Bayona è gelido, trafigge, è crudo e crudele nella forma, misericordioso nella sostanza. Una storia di sofferenza, tragedia, salvezza, sopravvivenza. Una sopravvivenza in cui la vita si serve della morte per continuare a sperare. Un quadro essenziale ed esistenziale, in cui il contrasto del bianco della neve ricade e si infrange sui corpi lividi, violacei giacenti all’ombra dell’oblio.

Una lotta estrema della carne, dello spirito, della natura, che si spinge oltre l’umanamente possibile. Fin dove può arrivare l’uomo per sopravvivere? A questa domanda il regista detta le risposte con la potenza immersiva e impattante delle immagini che travolgono lo spettatore, esattamente come le tormente, il gelo e le valanghe fanno sui superstiti in balia del nulla. A volte il nulla, però, è tutto ciò che si ha per potersi aggrappare alla vita per ancora un’altra ora, per ancora un altro giorno.

La narrazione viene sviscerata lentamente, senza commiserazione, e ripone la chiave di lettura nella dignità, la stessa che affida al fuori campo le scene più macabre, e che si posa sulla voce narrante di uno dei protagonisti, fino agli ultimi stralci della tragedia.

I momenti di frustrazione lasciano spazio anche a un’istantanea di ilarità che risulta tenera e agghiacciante al contempo, una sferzata di “normalità” nell’assurdo, con l’unico fine di poter sopportare l’insopportabile. I superstiti si scattano foto, come in un viaggio vacanza qualsiasi, consapevoli che quegli scatti, probabilmente, non verranno visti mai da nessuno se non dalla morte stessa, una realtà che arriva come una carezza al cuore e un pugno allo stomaco.

Il regista restituisce con estrema lucidità e sicurezza una storia di comunità al limite della resistenza, costretta a spingersi al di là dell’etica, del sacrificio umano, e in cui la vita e la morte collimano senza distinguersi. 

“Poscia più che ‘l dolor, potè ‘l digiuno”, l’inferno sulle Ande

La società della neve si concentra sulla dura prova dell’uomo, sul crollo delle certezze e sul richiamo da parte dell’unico elemento che accomuna l’essere umano all’animale, l’istinto. Bayona racconta la morte, la disperazione e lo fa per concedere redenzione ai gesti estremi condotti dall’immoralità necessaria e consumati nell’inferno glaciale delle Ande.

“Poscia più che il dolor poté il digiuno”, una giustificazione che Dante non perdonò al Conte Ugolino, a differenza del regista di Barcellona, che con distacco e onestà non smuove personale giudizio.

E poi ci sono i sopravvissuti, ovvero coloro che per 72 giorni non hanno chiuso gli occhi e non hanno dato voce alla rassegnazione.Quelli che hanno fatto ritorno a casa con l’obbligo morale di raccontare agli altri l’orrore, la storia, cosa è accaduto davvero in mezzo alle montagne, portando avanti l’unica missione possibile: vivere per chi non ce l’ha fatta, per gli amici con i quali hanno condiviso gli ultimi giorni di luce, concedendo loro fino all’ultimo brandello di carne. 

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Annamaria Martinisi
Sono il risultato di un incastro perfetto tra la razionalità della Legge e la creatività del cinema e la letteratura. La mia seconda vita è iniziata dopo aver visto, per la prima volta, “Vertigo” di Hitchcock e dopo aver letto “Le avventure di Tom Sawyer” di Mark Twain. Mi nutro di conoscenza, tramite una costante curiosità verso qualunque cosa ed il miglior modo per condividerla con gli altri è la scrittura, l’unico strumento grazie al quale mi sento sempre nel posto giusto al momento giusto.

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