Mantícora (2022). Scritto e diretto da Carlos Vermut. BTeam Pictures
Mantícora (2022). Scritto e diretto da Carlos Vermut. BTeam Pictures

Linee tridimensionali, ossa virtuali bianche si delineano sul nero di un incipit misterioso, ma solo per poco. Nel buio una creatura chimerica sta prendendo forma e nella luce un’altra chimera si mostra, un’altra manticora oltre a quella bicromatica e digitale: Julián, il protagonista del nuovo film di Carlos Vermut, Mantícora.

Da Toronto a Torino

Mantícora è il quarto lungometraggio del regista madrileno Carlos Vermut (di cui il vero nome è Carlos López del Rey), dopo Diamond Flash (2011), Magical Girl (2014) e Quién te cantará (2018). Presentato prima al Toronto International Film Festival lo scorso settembre, poi al Fantastic Fest di Austin, al BFI London Film Festival e al 55° Sitges Film Festival, così come al 35° Tokyo International Film Festival, arriva in Italia al recente Torino Film Festival, dove Vermut era presente all’interno della giuria della sezione CRAZIES e in occasione di una retrospettiva a lui dedicata. Da oggi il film è nelle sale spagnole.

Per chi ha avuto la fortuna di guardare Mantícora nelle scorse giornate torinesi sa già di cosa sto parlando. A chi non conosce ancora il nome di Carlos Vermut consiglio di leggere queste parole, perché perdersi nella conturbante bellezza del suo sguardo è inevitabile, al punto che sarete i primi a rifiutarvi di uscirne, nonostante i silenzi che lo abitano facciano a volte paura.

Mostro contemporaneo

Guardare negli occhi il mostro per conoscere la sua insicurezza, ma anche la vita interiore che lo muove secondo impulsi e verità. Mantícora mette in scena un argomento tabù, lo fa con la grazia di un’indagine poetica, elaborando una narrazione visiva che volutamente intende insinuarsi sotto alla pelle dello spettatore.

Julián (Nacho Sánchez) è un designer che crea e modella creature fantastiche e spaventose per il mondo dei videogiochi, come appunto la manticora, dalla testa umana e il corpo animale. Un evento particolare, un incendio nell’appartamento di fronte da cui riesce a trarre in salvo un bambino rimasto bloccato, determina una rottura che rivela in lui qualcosa di sconosciuto, qualcosa di inconfessabile che lo getta nell’ansia di essere entrato in contatto con una parte di lui mai emersa.

L’incontro con Diana (Zoe Stein), studentessa d’arte conosciuta a una festa, metterà in discussione i suoi sentimenti. La paura di assistere a qualcosa di cui è difficile parlare si intreccia al romanticismo disperato di due individui che si trovano: lei nella sua idea di amore che è accudimento di chi non riesce a farcela da solo, lui abitato dai suoi demoni e dal terrore di essere davvero un mostro, per nulla degno di essere amato.

La stessa realtà virtuale attraverso cui l’uomo realizza le sue creature lo “intrappolerà” nell’appagamento di un desiderio proibito, e nel suo bisogno dell’altro.

Mantícora (2022). Scritto e diretto da Carlos Vermut. BTeam Pictures

Spietato e romantico equilibrio

Quella cassa toracica digitale contiene ogni segreto, anche il cuore di Julián, mostrato tardi e cautamente alla ragazza che lo ascolta parlare e scruta negli occhi dei mostri disegnati in bianco e nero sul suo taccuino.

Mi piacciono i tuoi mostri, hanno molta vita interiore, hanno uno sguardo malinconico, come se qualcosa li preoccupasse.

Diana a Julián

Modellando la materia magica del cinema, Vermut riprende l’azione incrementando in chi guarda una continua tensione: questo grazie alla sottile arte del non eccedere, che fa di lui un narratore attento, al servizio delle immagini e del loro senso, visibile e non. Nonché al servizio di due interpreti “delicati” come Sánchez e Stein.

Evidenziando l’onnipresente oscurità presente in tutta questa nerissima favola d’amore e paura (soprattutto di se stessi), riesce a scorgere l’intimità dei personaggi, ritrovandola come un punto di fuga al centro di tutto. E tecnicamente incastona quelle singolarità in inquadrature dalle geometrie ragionate, come nelle opere d’arte da cui i protagonisti rimangono ammaliati al Museo del Prado. Sono lati nascosti dell’identità qui disegnati con la macchina da presa, chiaroscurati, che rivelano quello che non salta subito agli occhi.

Ma non solo le scelte registiche donano tridimensionalità alla storia, bensì anche lo spessore dei dialoghi: come in tutti i suoi film il flusso delle parole tra i personaggi, che sia laconico e incalzante, è qualcosa a cui crediamo senza pensare. Ci sono momenti drammatici, ironici, teneri, tutti gestiti da dialoghi che escono dal recitato, sembrando realtà. E la predilezione al silenzio (quasi totale se non per qualche brano musicale) ci invita a sentire ancora più da vicino il brivido di paura, l’effetto di un sussurro, l’eroticità del contatto tra Julián e Diana.

Mantícora, in breve

Non solo negli horror esistono i mostri, ma anche nella realtà, e fanno ancora più paura. In Mantícora Carlos Vermut fa un passo indietro e senza emettere giudizi ne racconta l’anima tormentata e la difficoltà di vivere. Come chimere si muovono dissimulando i propri mali, perdono pezzi di sé, soffrono, si innamorano. E psicologicamente inquieti lottano tra umanità e bestialità.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.

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