Kelly Rowland e Trevante Rhodesin Mea Culpa. Cr. Bob Mahoney / Perry Well Films 2 / Courtesy of Netflix
Kelly Rowland e Trevante Rhodesin Mea Culpa. Cr. Bob Mahoney / Perry Well Films 2 / Courtesy of Netflix

La homepage di Netflix si apre su Mea Culpa, uno degli ultimissimi film (disponibile dal 23 febbraio) e le premesse per cliccare play ci sono tutte: un thriller, un triangolo amoroso, Kelly Rowland e Trevante Rhodes. Attenzione però! Se non avete idea di chi sia il regista, sceneggiatore e produttore Tyler Perry, state per entrare in una dimensione e in un linguaggio che vi prenderanno alla sprovvista.

O forse l’avete già fatto e state cercando spiegazioni a ciò che avete appena visto. Siamo qui per questo.

Prima regola del Tyler Perry Universe: non cercare di capirlo, assecondalo

La cifra stilistica di Tyler Perry è una sola ed è riconoscibilissima: il melodramma sopra le righe. In ogni titolo del suo sterminato universo cinematografico, Perry rappresenta una realtà afroamericana volutamente grottesca, farsesca e parodica. Oltre ogni misura.

Più volte è stato criticato da altri cineasti neri, tanto da creare una spaccatura fra chi crede che i suoi film siano culturalmente dannosi nella costruzione dell’immaginario dell’identità afroamericana e chi invece vede in questa strategia cinematografica un modo per sfondare tutti i limiti e i confini dell’industria hollywoodiana e creare un nuovo star system di attori e attrici che altrimenti resterebbero nell’ombra. Tyler Perry, in fondo, è proprio facendo così che è diventato multimilionario.

Kelly Rowland e Tyler Perry sul set di Mea Culpa. Cr. George Burns / Perry Well Films 2 / Courtesy of Netflix
Kelly Rowland e Tyler Perry sul set di Mea Culpa. Cr. George Burns / Perry Well Films 2 / Courtesy of Netflix

Con le dovute differenze, un fenomeno simile in Italia è rappresentato dai cinepanettoni. Film popolari che si rivolgono a un pubblico molto più ampio della normale fascia di spettatori “abituali” e che ottengono un successo enorme in termini di numeri e incassi, riuscendo così a finanziare nuovi progetti anche più rischiosi e sperimentali per una stessa casa di produzione.

Un codice volutamente stereotipato, come un videoclip delle Destiny’s Child

Non è un caso che la protagonista di Mea Culpa sia Kelly Rowland, la cui carriera cinematografica purtroppo non è mai decollata nonostante 8 film negli ultimi 20 anni. Potrebbe spuntare da un momento all’altro Beyoncé e mettersi a cantare con lei tutto il testo di Survivor (You thought that I’d be weak without ya, but I’m stronger/You thought that I’d be broke without ya, but I’m richer/You thought that I’d be sad without ya, I love harder, e così via), e il suo ruolo resterebbe esattamente lo stesso. Quello della donna nera forte, indipendente, che non ha bisogno di un uomo ma che vuole il suo uomo. Già visto.

La Mea di Rowland è un puro stereotipo e non c’è volutamente alcun lavoro da fare sul suo personaggio. Si muove e si esprime attraverso una regia che ricalca, in ogni dettaglio, i videoclip r&b dei primi anni Duemila. Ed è innegabile che sia divertentissimo.

Kelly Rowland in Mea Culpa. Cr. Bob Mahoney / Perry Well Films 2 / Courtesy of Netflix

Come la protagonista, anche tutti gli altri personaggi sono dei “gusci vuoti”, generiche figure pre-esistenti nella letteratura e nel cinema statunitense che Tyler Perry non prova nemmeno a rimodellare sulla storia. A partire dal sempre meraviglioso Trevante Rhodes. È proprio su di lui che si nota il gioco di Perry. Mentre infatti i personaggi secondari sono soltanto delle estremizzazioni irrilevanti e fastidiose di alcuni luoghi comuni (come la suocera bianca, razzista e petulante), con Rhodes il regista ironizza e rischia un po’ di più.

Sceglie un attore “esploso” a Hollywood con un piccolo e splendido film d’autore, Moonlight di Barry Jenkins, ormai otto anni fa, e poi quasi sparito. Un film in cui il regista ha fatto di tutto per mostrare l’anima indifesa del protagonista sotto chili di muscoli e catene d’oro, contro lo sguardo comune dei pregiudizi. Perry invece sfida quello stesso sguardo. Prende lo stereotipo dell’uomo nero, imponente e minaccioso e lo sbatte in faccia al pubblico direttamente come protagonista, ridicolizzandolo, rendendolo inoffensivo perché sempre più estremo e sempre meno credibile. In un certo senso frantumandolo allo stesso modo di Jenkins, solo che con un processo ribaltato e opposto.

Mea Culpa, in breve

Quindi sì, Mea Culpa è un film strano, un po’ cringe e tanto melò. E soprattutto non è seriamente un thriller né davvero un film erotico come si presenta. Perde tutta la tensione già al quinto minuto.

È brutto? Sì. È trash, come è stato definito sui social? Pure, ma solo se vi aspettate qualcosa di diverso da Tyler Perry. Prendete i pop corn, invece, e guardatelo in compagnia, per commentare ad alta voce le scene più assurde. Altrimenti che gusto c’è.

V.V.

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