Minari - A24, Academy Two
Minari - A24, Academy Two

Minari, Golden Globe come Miglior film straniero del 2021, è il film perfetto per il ritorno in sala.

La riapertura delle sale è un evento atteso da mesi, soprattutto durante le ultime settimane di previsioni e nomination per gli Oscar 2021. Minari arriva nei cinema (purtroppo non tutti riaperti) delle regioni gialle, ed è il film ideale per ricominciare a frequentare la sala. Diretto dal regista e sceneggiatore statunitense Lee Isaac Chung, è un’opera intima dove i personaggi scelgono spesso il silenzio per comunicare all’altro le proprie intenzioni. Semi autobiografico, segue lo spostamento di una famiglia sudcoreana, i genitori Jacob e Monica Yi e i due figli Anne e David, dalla costa occidentale all’Arkansas, in una stretta realtà rurale in cui realizzare il proprio sogno americano.

Lo scontro culturale

Lo scontro culturale avviene in campo aperto, non totalmente nel mondo diegetico (e quindi non all’interno della narrazione) ma a livello di rappresentazione della storia. Si scontrano due punti di vista che premono sulle rispettive esigenze poetiche: il film è pervaso dalla leggerezza contemplativa di quel voluto senso di sospensione che nel cinema sud coreano gestisce il flusso dei ricordi e del presente (riscontrabile anche in un’altra recente opera della regista sud coreana Yoon Dan-bi, Moving On). Si incarna nel personaggio della nonna, interpretata dall’attrice Yuh-Jung Youn (vincitrice dell’Oscar come Miglior attrice non protagonista), arrivata dalla Corea per stare con i nipoti.

Schierata in direzione contraria c’è la presenza emblematica di una profonda voglia di indipendenza incarnata da Jacob (Steven Yeun), capofamiglia determinato a modellarsi un futuro degno di rispetto. Trascinando i figli e la moglie in una terra di nessuno dove iniziare la sua grande coltivazione, si incastra in un altra tipologia di visione, propria di una poetica cinematografica statunitense, guidata dal grande sogno americano e colpevole, in questo caso, di effettuare scelte di sceneggiatura inclini a spezzare gli equilibri della percezione.

La centralità della regia

La forza di Minari risiede proprio nella regia di Lee Isaac Chung (complementare alla fotografia di Lachlan Milne). L’occhio del regista segue i personaggi soffermandosi di volta in volta su uno di loro, lo sguardo è “rispettoso” e sembra mantenere le distanze dalle dinamiche familiari private e dai drammi che non riescono a trovare voce. Eppure quando ci si avvicina un po’ di più emergono profili passati inosservati, e spinte e obiettivi, che i protagonisti portano con sé in questo sogno di ricostruzione difficile da raggiungere.

La regia di Minari nasce dal desiderio di libertà che passa dalle azioni dei personaggi ai loro gesti sullo schermo, fino allo sguardo dell’autore che ne delinea le forme per portarle allo spettatore. Gli spazi che li accolgono sono echi di ricordi e scenari anni ’80 di una comunità disseminata, tra campi e case povere, nel cuore dell’Arkansas. Questo basta per passare sopra ad una scrittura che non sempre risulta fluida.

Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.

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