Mindemic

In sala questa settimana al Cinema Troisi di Roma e poi a Ferrara, Bologna, Firenze, il lungometraggio di esordio di Giovanni Basso, Mindemic (Opera Zero), è la storia di un autore cinematografico romano – interpretato da Giorgio Colangeli – che per scrivere il suo ultimo copione si perde in una rêverie di sogni e incubi dal passato che lo porterà alla follia. Basso ne è anche sceneggiatore oltre che regista.

Quando gli chiedo perché il suo film sembri un’opera “finale” mentre è soltanto un esordio, Basso risponde che le difficoltà che si incontrano per fare un’opera prima sono tali da farti sentire fin da subito a fine carriera, come “un tramonto mai sorto”, e, quando lo dice, penso di capire molto bene cosa intende.

“Quando sei a inizio carriera nessuno vuole farti lavorare, proprio come quando sei alla fine, anche per questo con il personaggio principale siamo tanto affini”

Io sono vivo e voi siete morti

Nel film – si potrebbe dire – c’è un solo personaggio, Nino, e tanti fantasmi: in primis il fantasma dell’amore, interpretato da Rosanna Gentili – che pur arrivando per ultimo è il più forte e persistente, e poi i fantasmi del successo, della creatività, dell’impegno lavorativo (Claudio Alfredo Alfonsi, Roberto Andreucci, Paolo Gasparini, Rossella Gardini).

Nino (l’esperto Giorgio Colangeli) è un uomo di spettacolo “fallito”, e vive solo in un appartamento che è una parodia degli anni ’60, perché tutto è nuovo ma in stile Sixties, e inscena da solo una parodia di vita: canta da solo inni struggenti all’amore per riuscire a tirarsi su dal letto, mangia da solo con finto gusto senza riuscire a terminare mai un piatto, fa sesso da solo davanti alla tv senza neppure guardare per intero le immagini dell’eccitazione, in amplessi che finiscono contro il soffitto.

Ma poi arriva un insperato colpo di scena: un vecchio amico e collega gli chiede di collaborare a un film: deve scrivere una sceneggiatura in tre giorni. Dopo tanti anni di inazione… che shock!

Nino si mette subito all’opera, un novello Orlando furioso, ma non è tutt’oro quello che luccica e presto i problemi iniziano a fare la loro comparsata, fino a diventare i protagonisti indiscussi della scena.

I volti indistinti del ricordo

Il primo fantasma a portargli problemi è la sua agente, che vuole una fetta di questi inaspettati guadagni, il secondo è un attore con cui un tempo collaborava, il terzo un ex amico sceneggiatore, e poi via via i fantasmi del copione che Nino continua a scrivere forsennatamente, forse troppo, ricordando anche i Jack Torrence di Shining. È un film d’azione, quello che Nino sta scrivendo, lasciando che i soldati e i personaggi prendano forma nella sua stessa impersonificazione.

Metodi

Il film è stato girato in una full immersion di due settimane e la telecamera usata è quella di un telefono cellulare, perché – dice Basso – io sono fan di un tipo di cinema ‘guerrigliero’ alla John Cassavetes, che chiamava i suoi amici a casa e poi girava il film lì con con una sedici millimetri. Ma anche senza scomodare i grandi maestri, quello che volevo fare era un film semplice – quindi una sola ambientazione e focus unico sull’intreccio narrativo – ma che portasse dentro una storia più articolata. In realtà il personaggio di Nino lo sento molto vicino a me.

Perché appunto c’è questa difficolta nel dover creare, nonostante ci sia tanta, quasi troppa, immaginazione.

Perdersi nel sogno

Nell’esperienza onirica di Mindemic (Opera Zero), i personaggi iniziano a uscire dal piano di finzione della sceneggiatura per entrare nella “realtà” di Nino. Accade per la prima volta con il cadavere di una donna, nel racconto uccisa dai soldati e poi catapultata nel soggiorno del protagonista, che cerca di rianimarla inutilmente. Ancora non ha un volto, è riversa di schiena, ma lo avrà presto e sarà anche il volto di tutti i personaggi femminili del film, in un crescendo di scollamento tra sogno e realtà che culmina con l’immagine del primo amore, Angela, sovrapposta al volto di una escort che sembra conoscere gran parte della sua vita, terrorizzandolo e spingendolo a desiderare di ucciderla. E qui è Ferreri con Dillinger è morto che va citato.

Un viaggio allucinante

Quello che succede a Nino, dice Basso, è che si mangerà la vita tramite l’immaginazione, e nel finale non è veramente importante dare (o darsi) una risposta, su ciò che è vero o ciò che è falso. “Ognuno può cercare la propria risposta, come io ho cercato la mia. Quello che per me è importante è che lo spettatore segua il suo viaggio di creatività, in modo personale, e si lasci trascinare dalla parabola di Nino per vedere dove questo personaggio e la sua arte lo conducono”. Nino rappresenta proprio la creatività, l’arte creatrice del sogno, fino alle più radicali conseguenze.

La pandemia – riprende Basso – anche se evocata dal titolo, c’entra solo in quanto evocazione di un evento catastrofico, che può essere qualsiasi cosa (gli alieni, la guerra, il virus letale) che conduca il personaggio in una situazione allucinatoria che noi vogliamo vivere con lui. Effettivamente si tratta, a suo modo, di un viaggio allucinante, compiuto tutto dentro un soggiorno, come avviene da quando viviamo immersi in una realtà che è più virtuale che reale e che moltiplica la capacità di sdoppiarsi con la fantasia. E che Basso collega anche al teatro: la telecamera fissa, o persino la webcam, sono in fondo dei palcoscenici.

Giovanni Basso firma un’opera prima controversa, ambiziosa (in cui i riferimenti a Kubrick arrivano anche a Paura e desiderio, 1953), catartica, genuina, rifrangente e riflettente, polimorfa. Non posso dare un voto vero e proprio perché anch’io vi ho compiuto il mio personale viaggio allucinante, appaiandomi alle allucinazioni divinatorie di Nino, così che ho visto solo alcune facce della sua creatura multiversica. Sento però di consigliare a tutti di tentare di fare lo stesso viaggio, quindi controllate la programmazione della vostra città.

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