Il 5 novembre 1993 venne distribuito nel Paese il quarto film del regista Mike Leigh, quello che gli aprì le porte della fama e del successo della critica: Naked.
Un’opera dal sapore artistico quasi universale, che potrebbe tranquillamente essere adattata per il teatro o come testo letterario; ma Naked è anche un incubo sociale, attuale e scabroso.
Nella notte si aggira discutendo
Johnny Fletcher (David Thewlis) violenta una donna per le strade di Manchester, ma quando lei fugge via è costretto a lasciare la città. Ruba una macchina e si dirige a Londra, dalla sua ex fidanzata e concittadina Louise (Lesley Sharp).
In questa Londra bohémienne senza età, senza regole, placida ma indicibilmente violenta, seguiamo Johnny nei suoi discorsi, nei suoi tremendi atti, barricandoci nella sua ombra di meschinità e logorrea.
Non è assolutamente un personaggio degno di una qualunque simpatia, anzi sembra alieno a se stesso, piacevolmente assuefatto alla sua voce e ai suoi pensieri. È però con le sue azioni più violente, quasi esclusivamente legate all’ambito sessuale ed emotivo, che scopriamo la sua natura bestiale che indossa fintamente la toga dell’erudito.
Johnny è una coscienza intellettuale sradicata e marinata nella violenza e nell’ipocrisia, è un uomo che usa persino il suo stesso finto pessimismo e il suo complottismo cerebrale per truffare il prossimo, e tutto il suo parlare è volto a minacciare, offendere e colpire l’altro.
Tra un attore e un personaggio
A fare da cornice agli sproloqui di Johnny ci sono dei personaggi ingabbiati in questa tragedia dell’assurdo.
Louise, forse il personaggio più “normale”, legata sentimentalmente a Johnny ma anche decisa a tenergli testa, e sopratutto a tenere testa al suo antico affetto per lui, ma che infine cade ancora una volta preda dei suoi sentimenti e delle sue belle parole.
Sophie (Katrin Cartlidge), la coinquilina disoccupata di Louise e Sandra, vittima sacrificale dell’Essere Maschile, da cui non riesce a staccarsi e da cui viene divorata in un circolo infinito di tormenti.
È il personaggio più straziante della storia, che anela ad una connessione emotiva che si infrange sempre rovinosamente contro un muro umano di menefreghismo e alessitimia (il contrario dell’empatia, e anche se è un termine clinico è quanto mai appropriato oggi per descrivere una patologia inconscia dell’intera umanità).
Io il più delle volte non so cosa vogliono [gli uomini] da me. Comincia che gli piaci per una cosa e alla fine ti odiano per quella cosa. Non gli piace se sei forte. Non gli piace se sei debole. Ti odiano se sei sveglia. Ti odiano se sei stupida. Non sanno cosa vogliono.
Sophie
Sandra (Claire Skinner) l’infermiera, che come un angelo di bontà, appena tornata dal suo viaggio in Zimbabwe, tra i mille stupori si mette a rassettare il boudoir che è diventato il suo appartamento.
E infine il misterioso Jeremy G. Smart/Sebastian Hawk (Greg Cruttwell). Yuppie feroce, cinico e senza alcuno scrupolo, è un Patrick Bateman scevro da ossessioni, un falco (come indica uno dei due cognomi) che dall’alto del suo scalino sociale aggredisce le cerchie sociali più basse. È significativo che usi principalmente il sesso come arma; è un gesto di violenza e insieme di disprezzo che si consuma solo sull’umanità femminile, ma che fa trasparire anche una certa misoginia nel personaggio.
È il contraltare quieto e radente alla violenza nevrotica e codarda di Johnny.
La corte del profeta
Nella notte che passa fuori casa Johnny interagisce con diverse persone, tormentandoli con la sua verbosità; un profeta errante come il nicciano Zarathustra.
Archie (Ewen Bremner) e Maggie (Susan Vidler), scapigliatissima coppia impegnata nella frenetica ricerca l’uno dell’altro, salvo poi trovarsi e litigare violentemente.
Giselle (Elizabeth Berrington), l’effimero sogno sessuale della guardia notturna Brian (Peter Wight), che simboleggia una decadenza incapace di accertarsi, viva solamente durante le esplosioni di lussuria e altrimenti preda di un torpore vitale che la consegna all’anonimato notturno più assoluto.
Brian, l’anima gentile della scena, che accoglie Johnny e si impegna a fondo con lui in una discussione complottistica che indaga poi le grandi risposte dell’umanità, ed è uno dei pochi che non diventa preda della verbosità aggressiva di Johnny.
E infine l’uomo dei poster (Ewen Bremner), specchio di uno spettatore esaurito dalle vuote chiacchiere di Johnny che infine lo pesta e gli ruba il borsone.
In questa notte il film esce dal salotto borghese per diventare, per lo spettatore, un incubo o un sogno. Abbiamo immaginato tutti di perderci nel buio, nei discorsi fini a se stessi, di affrontare, o naufragare, con incostanza e negligenza una notte nella città dove abitiamo, forse conquistandola, forse venendo conquistati, inanellando ritratti di persone con cui scambiare parole, paranoie e perdizioni.
Ma il ritorno a casa di un Johnny pesto e lacero ci scuote da questo quadro onirico e ci riconsegna al pericolo e alla vita cruda e reale.
Il noir verboso
C’è un effetto distopico e angosciante che accompagna ogni inquadratura, merito anche della colonna sonora di Andrew Dickson dove le note della chitarra tagliano ogni secondo con efferatezza; questo, insieme alla continua ripetizione della melodia originale, genera ansia nello spettatore.
Nella scura città notturna serpeggia la violenza, perpetrata e subita, che si mostra rude e grezza, quasi primitiva. Incute terrore e disperazione sapere che in quella Londra, nella realtà vent’anni prima ma nella finzione in un futuro che avrebbe potuto essere quello stesso 1993, Kubrick vi narrò le vicende di Arancia Meccanica.
C’è un forte legame con il film di Jean Renoir del 1932, Boudu salvato dalle acque, opera che come Naked ci consegna tra le braccia di un individuo meschino in perenne fuga dalle regole della società.
Ma fortissima è anche l’eredità di Alfie (1966) di Lewis Gilbert, dove alla farsesca ironia mordace e alla splendida Swinging London si sostituiscono la loquace bruttura umana e una Londra ribollente di malessere e disperazione.
La verbosità aggressiva e delirante di Johnny ci catapulta anche tra i deliri della fame di Raskol’nikov e la febbre cerebrale di Ivan Fyodorovich Karamazov, mentre gli scorci notturni e i dialoghi pessimistici, seppur scevri di poesia, ci fanno vagheggiare le atmosfere fumose di Viaggio al termine della notte.
In breve
Crudo, realistico, assillante (dal momento che è ancora oggi troppo attuale). Naked è una via terribile dove tutti noi passiamo prima o poi, finendo in essa per diventare vittime o carnefici. La sua tremenda attualità si consuma nella notte, ma oggi Mike Leigh potrebbe girare un seguito con la stessa dose di violenza alla luce del giorno.
Forse perché Naked ci ricorda che questo 2023 non assomiglia a un’utopia da cartone animato, ma a una triste distopia della letteratura inglese. È una visione quasi seminale direi.
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