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I 5 film candidati all’Oscar ai migliori costumi sono tra loro molto diversi per storia, ambientazione, target. Ognuno di questi presenta sfide diverse nell’ambito della progettazione dei costumi. È quindi pressoché inutile fare confronti stabilendo quale film sia meglio dell’altro; tuttavia si può analizzare come i costumisti si sono approcciati a queste sfide, e i motivi per cui si meritino (o meno) l’ambita statuetta.

EMMA – Alexandra Byrne

Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Jane Austen è ambientato nell’epoca regency (periodo della storia inglese che va dal 1811 al 1820). Fin da subito era evidente che avrebbe dovuto confrontarsi e tenere testa con la versione del 1996, che aveva ottenuto una nomination all’Oscar per i costumi. Per la nuova versione del 2020 è stata chiamata Alexandra Byrne, particolarmente ferrata in film storici:  Hamlet, Elisabeth, Elisabeth: The Golden Age per il quale vince l’Oscar nel 2008.

Non è la prima volta che Alexandra Byrne lavora su un testo di Jane Austen: nel 1995 realizza i costumi per Persuasione (per il quale viene premiata con il premio BAFTA). Nonostante l’ambientazione sia la stessa, in Emma è forte il peso del linguaggio visuale (evidente nella palette cromatica). I costumi riflettono l’estetica compositiva della regista Autumn de Wilde (fotografa professionista che debutta alla regia proprio con Emma).

MA RAINEY’S BLACK BOTTOM – Ann Roth

Ambientato nella Chicago di fine anni ‘20, il film è incentrato sulla band blues di Ma Rainey. Nell’allegria colorata della band si nasconde il dolore amaro delle discriminazioni e dello sfruttamento della comunità nera americana. La costumista è Ann Roth, che ha alle spalle un’ampia filmografia che spazia da film in costume quali Il giorno della locusta (premio BAFTA), Il paziente inglese (per il quale vince l’Oscar ai migliori costumi) a commedie come Mamma Mia!.

In questo film la costumista si trova però fortemente vincolata dalla sceneggiatura: il film è quasi interamente ambientato nell’arco di mezza giornata (con due soli cambi di scena) e Ann Roth lavora solo su un piccolo numero di personaggi. La sceneggiatura in questo caso diventa un elemento penalizzante perché nonostante la bravura della costumista, rende limitata la possibilità di creare a tutti gli effetti un mondo e una narrazione. 

MANK – Trish Summerville

La sfida di questo film (a livello di progettazione dei costumi) è data dalla scelta del bianco e nero, che impone di raccontare i personaggi privandosi dei colori. Questo basta già per far meritare alla costumista Trish Summerville (Hunger Games-La ragazza di fuoco, Millenium-Uomini che odiano le donne) un posto tra le nomination all’Oscar.

Sebbene sia un “lavoro storico”, c’è troppo poco dei personaggi nei loro costumi. Non che fosse facile, essendo per la maggior parte uomini, più difficili da caratterizzare, soprattutto in periodi storici dove l’abbigliamento maschile era inquadrato in giacca, cravatta e camicia. Un film che si ricorderà per la scelta registica del bianco e nero, ma non per come i personaggi sono vestiti.

MULAN – Bina Daigeler

È sempre difficile produrre una trasposizione cinematografica di un lungometraggio animato. In questi anni abbiamo visto vari tipi di approccio: se Cenerentola rivede totalmente l’ambientazione, i colori e i costumi, film come La Bella e la Bestia e Aladdin, riprendono gli “originali” enfatizzando il carattere da musical. Anche per Bina Daigeler (costumista di Mulan) la difficoltà è stata trovare una sua personale mediazione tra il cartone animato e la trasposizione.

Le critiche volte a sottolineare le inesattezze storiche sono abbastanza fuori luogo. Una lettura storica e filologica dei costumi non si addice ad un live action, dove, proprio per la tipologia di film, è necessaria una reinterpretazione. La costumista guarda alla dinastia cinese Tang (618-907 d.C.) ma non mancano contaminazioni di altre culture ed epoche, e un uso anche più marcato ed enfatizzato di forme e accessori. Nonostante non ci sia la pretesa della storicità, si sente però la mancanza di un lavoro di patine e invecchiamenti sui costumi (è evidente nella scena iniziale nel villaggio, ma anche nella battaglia).

PINOCCHIO – Massimo Cantini Parrini

Uscito in Italia nel 2019, ma arrivato in America solo lo scorso dicembre, il film di Matteo Garrone ha ottenuto due nomination: per i costumi di Massimo Cantini Parrini e per il miglior trucco e acconciatura (Dalia Colli, Mark Coulier e Francesco Pegoretti).

La sinergia dei costumi, del trucco e delle acconciature ci narra il mondo delicato del racconto di Collodi. Nel lavoro di Massimo Cantini Parrini si ritrova una poetica dai toni popolari. È un fattore rilevante per valutare il lavoro di costume su un film come questo. Nel raccontare una favola, e non tradirne la natura, non si può prescindere dalle tinte popolari (punto dimenticato dai vari live action Disney ad esempio).

Costumi che risentono di un gusto e una raffinatezza (teatrale) tutta italiana (e non è un discorso campanilista, ma oggettivo): tra pezzi originali, accostamenti di tessuti diversi, vibrazioni di colore e invecchiamenti emerge l’eco di una tradizione artigianale inconfondibile.

Aspettiamo la premiazione per conoscere la vincitrice o il vincitore, continuate a seguirci per aggiornamenti anche sulle altre categorie!

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