Barry Keoghan in Il sacrificio del cervo sacro e Saltburn
Barry Keoghan in Il sacrificio del cervo sacro e Saltburn (Foto: Lucky Red; Prime Video)

Massimo impatto e minor rischio possibili, questa è la logica della distribuzione esclusivamente in streaming, su Prime Video di Saltburn, opera seconda della regista Emerald Ferrell, dopo Una donna promettente. Un film chiacchieratissimo, soprattutto sui social. Ma perché ha suscitato tanto scandalo?

C’è chi grida al capolavoro e chi si dice inorridito. Di fronte a un atteggiamento così polarizzato fa riflettere che non si riesca a trovare una mezza misura. Saltburn stesso, infatti già nelle sue premesse, non ha grandi pretese, tanto meno quella di essere considerato un’opera d’arte indimenticabile.

La regista Emerald Ferrell mostra con uno sguardo cinico, ma anche un po’ scanzonato, la disgregazione di una famiglia, microcosmo che si fa specchio di una società ormai fin troppo rigida e formale. Ma Saltburn, così come la sua autrice, non vuole elevarsi fra i “grandi”. Ha solo voglia di raccontare una storia, e di raccontarla bene. 

Il lavoro di Emerald Fennell

Non si può negare che Emerald Ferrell ci sappia fare. Sia a livello di regia sia di direzione degli attori, la regista è semplice ma impeccabile. E il film può piacere o non piacere, ma non si possono negare le grandi performance di Rosamund Pike, nei panni della matriarca della famiglia Catton e di Barry Keoghan, protagonista nel ruolo di Oliver Quick (nome che mostra una non casuale assonanza con un assai più famoso personaggio, Oliver Twist).

Ciò che manca a Saltburn, forse, è di un obiettivo preciso. Lascia quasi la sensazione di non aver capito cosa “voglia essere da grande”. Se da una parte rivolge una spietata critica alla società e, in particolare, ai formalismi della nobiltà britannica, trincerata ancora oggi in una gabbia dorata, dall’altra parte manca effettivamente di freschezza e di elementi realmente disturbanti. 

Barry Keoghan in una scena di Saltburn
Courtesy of Prime Video

Cinema e critica sociale

La critica sociale, già ai tempi di Buñuel e Fellini, era spietata, cruda. I film satirici sono sempre stati sconvolgenti, a tratti difficili da guardare e digerire, sia per i temi trattati, sia per le immagini particolarmente “forti”. Ed è proprio qui che, forse, risiede il reale problema di Saltburn: non vuole osare fino in fondo. Per capirlo basta metterlo a confronto con Il sacrificio del cervo sacro di Yorgos Lanthimos.

Il sacrificio del cervo sacro, un’opera di raro cinismo (SPOILER).

A collegare idealmente i due film, di Lanthimos e di Ferrell, è Barry Keoghan, in entrambi i casi elemento disgregante in un mondo apparentemente perfetto. 

Il sacrificio del cervo sacro ruota attorno a Steven Murphy (Colin Farrell), cardiochirurgo di successo sposato con una bellissima donna, Anna (Nicole Kidman), anche lei brillante medico. I due hanno due splendidi figli, Bob (Sunny Sulijc), il minore e Kim (Raffey Cassidy). In questo quadro agisce l’elemento di disturbo, Martin (Keoghan).

Da quanto emerge dalla narrazione, il ragazzo è figlio di un paziente di Steven. L’uomo, anni prima, era morto durante un intervento a causa di una grave negligenza di Steven, che allora aveva problemi di alcolismo. Ora il medico, per espiare le sue colpe, riempie il ragazzo di attenzioni regali e lo tratta con una accondiscendenza compassata e a tratti fastidiosa. 

L’elemento disgregante

Barry Keoghan, anche in questo caso, è il fautore dell’intreccio. Si insinua nella famiglia affascinandone i membri, in particolare Kim e Anna. Poi, al pari di una bizzarra e vendicativa entità sovrannaturale, porta la malattia. Di colpo, il piccolo Bob non è più in grado di camminare. Ha gli arti inferiori come paralizzati, nonostante i medici non trovino una spiegazione medica a ciò che sta accadendo. E lo stesso, a distanza di pochi giorni, accade anche alla figlia Kim. 

Courtesy of Lucky Red

Infine, la rivelazione: una morte per una morte. Martin è convinto sia necessario che per ristabilire l’equilibrio, come Staven ha ucciso un membro della sua famiglia adesso tocchi a lui farlo. Deve scegliere chi, della sua famiglia, offrire in sacrificio in nome di questo misterioso  equilibrio. 

Steven, sul momento, non crede a una parola. Poi però, vedendo i figli peggiorare di giorno in giorno, capisce che Martin sta dicendo la verità. Come una sorta di dio assetato di vendetta, il ragazzo chiede adorazione e sangue. E questo otterrà. 

Il sacrificio del cervo sacro, un film realmente disturbante

L’opera di Lanthimos risulta difficoltosa da vedere, a volte persino snervante. Al di là di diversi trigger psicologici presenti un po’ ovunque, lascia, a fine visione, una sensazione di disagio profondo. Ma come ci riesce? Questa è la domanda fondamentale.  Lanthimos non forza la mano e non cerca lo scandalo ad ogni costo. 

Sebbene il sesso e l’erotismo siano elementi onnipresenti, non sono sbandierati, ma piuttosto sottintesi, insinuati in modo sottile e, soprattutto, usati per comunicare qualcosa di concreto. Il modo in cui il corpo di Nicole Kidman giace esanime sul letto, in attesa dei gelidi baci del marito, è la perfetta rappresentazione di una passione morta. Una passione che, forse, non è mai esistita. I dialoghi sono sempre formali, freddi, privi di emozioni. E non a caso il regista ha scelto i suoi attori.

La bellezza algida di Anna fa da contraltare all’aspetto ferino di Colin Farrell, che riesce a mostrare una valanga di emozioni contrastanti dietro una maschera che mai verrà levata. Non del tutto, almeno. Ed è per questo che l’unico accesso d’ira di Steven ha così tanto impatto. Così come sono di impatto i primi piani di Nicole Kidman, nella straordinaria interpretazione di una donna altoborghese congelata nelle sue emozioni. Un vero e proprio vulcano quiescente sempre sul punto di esplodere. 

In un film del genere, i momenti di violenza lasciano lo spettatore profondamente turbato. Senza ricercare opere volutamente disturbanti, come The Human Centipede o A Serbian Film, Il sacrificio del cervo sacro può davvero definirsi un film crudele, una satira a tutto tondo. A parte qualche omaggio cinefilo qua e là, il regista non strizza l’occhio al pubblico, ma vuole raccontare con sguardo estremamente lucido una realtà che va in pezzi. 

Saltburn, a differenza di Il sacrificio del cervo sacro, non arriva a tanto. Nonostante il film sia un buon prodotto di intrattenimento, preferisce rimanere su un piano intermedio, raccontando con cautela qualcosa che non può essere edulcorato. Ma ricercare il favore del pubblico a ogni costo rischia di rivelarsi controproducente. 

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