Summer of Soul Questlove
Sly Stone. Courtesy of Mass Distraction Media

Quando si dice estate 1969 il pensiero va immediatamente a Woodstock, ai tre giorni di pace, amore e musica. Basta ricordare tuttavia l’inno statunitense suonato in quei giorni stessi da Jimi Hendrix, con le note della sua chitarra che diventavano una scarica di bombe come in Vietnam, per tornare alla realtà. E la realtà era un Paese in crisi, lacerato dai conflitti sociali interni e dagli imperdonabili omicidi di chi aveva provato a fare la differenza: il Presidente John F. Kennedy, Medgar Evers, Malcolm X, Dr. Martin Luther King, Bob Kennedy.

Gli Stati Uniti sanguinavano, dentro e fuori dai confini. In Vietnam come a Dallas, Memphis e Harlem.

Proprio ad Harlem, che già nel 1965 aveva vissuto lo sconvolgente omicidio di Malcolm X, dopo il 4 aprile 1968, giorno della morte del Dr. King, si scatenarono mesi di rivolte, anche violente. Per questo motivo la terza edizione dell’Harlem Cultural Festival fu storica: nell’estate del 1969 la musica sciolse le tensioni, avvicinò le persone, creò uno spazio sicuro di arte, cultura e vitalità.

Dall’Harlem Cultural Festival alla Summer of Soul

L’Harlem Cultural Festival era nato da un’idea di Tony Lawrence, showman e presentatore, con il sostegno dell’allora sindaco di New York John Lindsay. Nel 1969 si tenne gratuitamente ogni domenica per l’intera stagione, all’interno del Mount Morris Park, oggi Marcus Garvey Park. Fu registrato e diretto per la TV da Hal Tulchin, ma dopo una prima messa in onda il materiale è rimasto in un magazzino per circa 50 anni. Dimenticato, come “in questo Paese tutta la storia Nera viene dimenticata”, si afferma appunto in Summer of Soul.

Il produttore discografico e musicista Questlove, nome d’arte di Ahmir Khalib Thompson, raccoglie il materiale di archivio e lo combina con le interviste agli artisti e ai partecipanti al festival. Ricostruisce il ricordo di un’intera estate fondamentale per la cultura afroamericana. L’estate in cui nasce il Black Pride.

Black is Beautiful: la rivoluzione del 1969

Capelli afro, dashiki colorati, un nuovo modo di presentarsi al mondo, credendo fermamente in tre parole: Black is beautiful. Il Black Pride è una rivendicazione culturale che passa attraverso una rivendicazione estetica e sul palco dell’Harlem Cultural Festival del ’69 era qualcosa di molto chiaro ed evidente.

Dal look natural afro delle sorelle Staples a quello funky di Sly (and the Family Stone), arrivando ovviamente alla regina, la sola e unica Nina Simone, con la sua corona di trecce.

Nina Simone, SUMMER OF SOUL. Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2021 20th Century Studios All Rights Reserved
Nina Simone, SUMMER OF SOUL. Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2021 20th Century Studios All Rights Reserved

Nel contesto, tuttavia, non si può e non si deve dimenticare la musica, elemento centrale della rivoluzione in atto.

Soul, ovviamente, ma anche blues, funky, gospel, Latin jazz e pachanga: tutta Harlem, Ovest ed Est, Black e Brown, è unita dalla musica sul palco dell’Harlem Cultural Festival. Un suono terapeutico che incanala emozioni del momento e traumi generazionali in un unico flusso.

Ci si innamora dello stile innovativo di Sly and the Family Stone, ci si commuove ascoltando Mahalia Jackson pregare cantando Precious Lord come solo lei sapeva fare. Si balla e ci si libera da tutto attraverso le percussioni di Mongo Santamaría e Ray Barretto.

Summer of Soul è la testimonianza che tutto ciò non è stato soltanto la “Black Woodstock”, come il festival è stato definito. Per un’estate intera, 300 mila persone si sono presentate in quel parco per rivendicare la loro esistenza, per affermare la loro presenza, per urlare la loro bellezza.

Chi l’ha dimenticato e chi non l’ha mai saputo, dopo Summer of Soul non sarà più giustificato a ignorarlo.

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