Superman: Stagioni, testi di Jeph Loeb, disegni di Tim Sale, colori di Bjarne Hansen ©DC Comics
Superman: Stagioni, testi di Jeph Loeb, disegni di Tim Sale, colori di Bjarne Hansen ©DC Comics

Superman: Stagioni, scritta da Jeph Loeb e illustrata da Tim Sale, viene ristampata all’interno della collana da edicola Supereroi: Le leggende DC da Panini Comics. Ma dove inizia la storia dell’Uomo d’Acciaio?

Il 12 febbraio del 1940 andava in onda il primo episodio dello sceneggiato radiofonico The Adventures of Superman, trasmesso da Mutual Broadcasting System e Citadel Media fino al 1953. In apertura, le voci stupefatte di Bud Collyer e Joan Alexander pronunciavano per la prima volta quella che sarebbe divenuta la citazione più famosa legata al supereroe kryptoniano creato da Jerry Siegel e Joe Schuster:

Guarda! Lassù nel cielo!

È un uccello! È un aereo! È Superman!

Per quanto oggi questo scambio enfatico venga ripetuto a puro scopo citazionistico, esso racchiude l’essenza di quello che Superman rappresentava – e in parte rappresenta ancora – agli occhi dei comuni mortali.

I due interlocutori notano qualcosa di insolito: inizialmente cercano di razionalizzare, associando il gesto del volo a immagini usuali (gli uccelli e gli aerei volano anche nella realtà), ma poi si lasciano assoggettare dalla meraviglia, affiancando una nuova immagine, assai meno usuale delle precedenti, all’atto di volare: un uomo.

Non a caso, anche la tagline del film Superman del 1972 diretto da Richard Donner, “Crederete che un uomo possa volare”, rimanda allo stesso concetto: partire da una base razionale, quella della monotona vita di tutti i giorni, per arrivare, attraverso un personaggio di finzione, alla meraviglia e al nonsense. O meglio, a un altro tipo di senso.

Superman è un viatico di immaginazione, meraviglia e sogno capace di strappare il lettore dal suo contesto reale per trasportarlo in uno nuovo e assai migliore, dove niente di brutto può accadere finché il suo guardiano continuerà a vendere le copie previste dalla tiratura.

Superman in un mondo che cambia

A partire dagli anni ’80 questa tendenza a razionalizzare prima e meravigliarsi poi si è invertita. La fase di meraviglia, forzatamente identificata e relegata all’età infantile, è giunta a precedere quella della razionalizzazione, complice un cambiamento sostanziale dei costumi, dell’economia e di una società sempre più pessimista e scettica.

Autori come Alan Moore hanno colto la palla al balzo per narrare storie in netta antitesi con il passato, intrecciando sempre più strettamente la realtà materiale a quella fumettistica. All’uomo che poteva volare una realtà così terra terra non può che stare stretta, e Superman ha così perso parzialmente il suo valore di viatico di evasione. Eppure, se siamo ancora qui a parlare dell’Uomo d’Acciaio, significa che quel valore non è andato del tutto perduto. Ha solo dovuto patteggiare con un mondo che cambia. Le storie moderne di Superman sono, chi più chi meno, nient’altro che “pergamene” sulle quali questo patto viene ripetutamente siglato.

Una delle più pregiate, recentemente ristampata all’interno della collana da edicola Supereroi: Le leggende DC da Panini Comics in collaborazione con il gruppo editoriale RCS, è Superman: Stagioni (Superman for all seasons) del 1998, scritta da Jeph Loeb e illustrata da Tim Sale.

Superman affronta il realismo

Pubblicata in seguito al successo della maxiserie Batman: Il lungo Halloween degli stessi autori, Stagioni è un racconto di origini diviso in quattro capitoli, uno per ogni stagione della vita di Clark Kent/Kal-El, dalla scoperta dei suoi poteri fino all’assunzione del ruolo di guardiano di Metropolis e del mondo. Ognuno di questi è narrato da un diverso personaggio legato al protagonista (Jonathan Kent, Lois Lane, Lex Luthor, Lana Lang), tutti rigorosamente umani.

Nel corso degli episodi assisteremo al dissidio petrarchiano di Clark Kent, ossia il tentativo di conciliare la natura umana con quella superumana, che metanarrativamente parlando si traduce nel conciliare la finzione fumettistica alla realtà. Il dissidio si estende anche ai personaggi secondari, i quali rappresentano un diverso tipo di lettore costretto a confrontarsi con la meraviglia, primi tra questi i coniugi Kent, persone arrivate alla vecchiaia senza la speranza di una meraviglia (la possibilità di avere un figlio tutto loro), dalla quale vengono invece colpiti in pieno aprendogli il loro cuore.

Sono i rassegnati che non hanno mai smesso di credere, ma al contempo non possono fare a meno di essere spaventati dalla straordinarietà di Clark, e il dubbio su come affrontare il palesarsi dei suoi poteri è il prezzo da pagare per permettere a quegli stessi poteri di esistere nella finzione narrativa.

La sequenza migliore dell’intero fumetto (e una delle migliori della storia dei fumetti di supereroi), vede i due anziani discutere in veranda del destino del figlio, ignari che lui possa sentirli grazie al super udito fin dalla camera da letto, dove riflette avvolto dalle ombre della sera. Non fosse per l’analogia sulla semina racchiusa nelle didascalie e per gli stacchi forzati imposti dalle vignette, niente di quella scena farebbe pensare a un fumetto.

Tim Sale realizza una serie di inquadrature strette su Jonathan e Martha, tra cui un dettaglio delle loro mani giunte con fedi in bella vista. Ci sentiamo vicini ai due anziani, siamo partecipi della loro fragilità grazie alle rughe sulla loro pelle e alla delicatezza dei loro gesti. Poi l’inquadratura si allontana in quello che è una vera e propria carrellata in piano sequenza.

Il lettore viene allontanato dal dramma dei Kent per entrare, letteralmente, in quello di Clark attraverso la finestra della camera da letto. Un movimento di macchina degno della scena iniziale dello Psycho di Gus Van Sant. L’ampia vignetta che mostra Clark steso sul letto, triste e dubbioso, è parimenti di un realismo impressionante. La stanza in cui si trova è disordinata, piena di oggetti comuni, come quella di un qualsiasi adolescente. Eppure la sua figura massiccia, ipertrofica e sproporzionata risalta tremendamente. E’ evidente che la fantasia non si trova a suo agio con le costrizioni del mondo degli uomini.

Lo spazio angusto della quotidianità può imbrigliare anche un dio – Superman: Stagioni, testi di Jeph Loeb, disegni di Tim Sale, colori di Bjarne Hansen ©DC Comics

Ad aggiungere benzina sul fuoco ci pensa la tenue patina bluastra (colore simbolo di sconvolgimento interiore) sapientemente dosata dallo straordinario colorista Bjarne Hansen, i cui acquerelli diventano più cupi man mano che si allontanano da Jonathan e Marta per entrare nella stanza (e quindi nello spazio intimo) del futuro Superman.

Il dialogo che accompagna l’intera sequenza è assurdamente terreno. Due genitori anziani che si interrogano sui loro metodi educativi in relazione alle problematiche del figlio. I superpoteri vengono così derubricati a “problema” con cui fare i conti, associabili ai disturbi dello spettro autistico. Ma quello che loro interpretano come un problema è in realtà banalissima incomprensione. Semplicemente, quella meraviglia in carne d’ossa che loro chiamano “figlio” è troppo grande per loro.

Il vecchio Superman della Golden e Silver Age non aveva tutti questi problemi. Quelli li lasciava ai comuni mortali. Aveva i superpoteri? Li usava. Senza porsi domande sulle responsabilità che comportavano. Quelle le lasciava alle persone vere. Ma nell’epoca del compromesso, il passo successivo è cambiare ambiente alla ricerca di un luogo più grande che possa contenere la magnificenza del superuomo. Ed ecco che nel secondo capitolo il protagonista arriva a Metropolis, dove incontra il secondo narratore della sua storia: Lois Lane.

Lois Lane

Lois, per la sua natura di reporter, è sempre a caccia di meraviglie, di storie straordinarie da raccontare. Incarna il lettore vorace, intraprendente, per certi versi fastidioso nel suo essere sempre in mezzo alle scatole. È così che Jeph Loeb razionalizza l’infatuazione di Superman per un comune essere umano: così come gli albi di Superman hanno bisogno di lettori in cerca di storie sempre più straordinarie, così il personaggio di Superman ha bisogno di una persona che lo apprezzi per il suo essere straordinario.

Anzi, Lois pretende che sia straordinario, sminuendone il lato umano di Clark Kent. D’altronde, lei stessa tende allo straordinario nonostante i limiti umani, componente caratteriale che stuzzica non poco l’Ultimo figlio di Krypton, da sempre abituato a persone piene di limiti autoimposti come i suoi genitori o i frugali abitanti di Smallville.

Ci si potrebbe quasi spingere a pensare che il doppio trattamento di Lois nei confronti di Clark/Superman abbia un sottotesto sessuale. Dopotutto, per tutta la vita Superman è stato costretto a reprimere il suo lato straordinario in favore di quello umano. Dunque il capovolgimento di questa dinamica costrittiva non può che essere un sollievo per lui.

Dal punto di vista di Lex Luthor

Ma per ogni lettore vorace alla ricerca di meraviglie, ce n’è un altro che non ne vuole proprio sapere di farsi coinvolgere dalle stramberie. Il terzo capitolo, narrato dal punto di vista di Lex Luthor, rappresenta in pieno quella transizione che ha portato i lettori a ripudiare le meraviglie. Il cinico industriale in preda alla calvizie è una persona terrena che ha ottenuto successo seguendo tutti gli step di un normale imprenditore criminale.

Il suo potere deriva dall’essere in cima allo schema piramidale umano di stampo capitalista. Trovarsi di fronte uno che non gioca la sua stessa partita, ma riesce comunque a vincere, non può che mandarlo al manicomio. È la parabola del talento contro la genetica. Luthor, come gran parte dei lettori di fumetti, segue uno schema morale basato unicamente sull’invidia, lo stesso che porta a preferire Batman (che in quanto “privo di poteri” viene visto come meritevole di empatia perché più “realistico”) allo stesso Superman.

Da bravo fanatico del realismo, Luthor incontra il disprezzo di Lois Lane e fa di tutto per eradicare l’essere alieno da Metropolis, in quanto in contrasto con lo schema naturale delle cose.

Luthor teme che Superman possa tradire l’umanità come ha tradito le speranze dei suoi lettori –  Superman: Stagioni, testi di Jeph Loeb, disegni di Tim Sale, colori di Bjarne Hansen ©DC Comics

Non che abbia tutti i torti. Come insegnano lavori destrutturalisti come The Boys, è difficile credere nella bontà di un tizio che potrebbe incenerirti con lo sguardo. Il ruolo di Luthor all’interno di Stagioni non è però solo quello di becero antagonista. L’ultima tavola del terzo capitolo ne esplicita la funzione chiave di mettere a nudo Superman e incarnare la disillusione nei confronti di un personaggio che i lettori di vecchia data credevano invincibile. Lui sa che Superman non può essere invincibile. Come potrebbe, se neanche esiste?

Superman non esiste. E allora?

Neanche Babbo Natale esiste, eppure in sua vece qualcuno i regali ai bambini li porta. Per sommi capi, potrebbe essere una frase riassuntiva dell’ultimo capitolo narrato da Lana Lang, che segna la definitiva crescita di Superman e, collateralmente, il suo venire a patti con la sintesi del realismo richiesto dai lettori.

Superman torna a Smallville, la cittadina in cui è nato, e la trova cambiata. Alcuni abitanti sono morti, altri si sono induriti e gli rinfacciano di averli abbandonati nel momento del bisogno. È il gioco dello scorrere del tempo, del passaggio delle stagioni. Le cose cambiano, anche Superman e Smallville.

Espressione sana di questo cambiamento è proprio Lana Lang, l’ultima narratrice. Lei ha conosciuto la meraviglia, ha girato il mondo per conoscere la realtà oggettiva e non perdersi nell’illusione. Infine è tornata, senza mai dimenticare quella volta in cui si è lasciata portare in volo dal suo amore adolescenziale, il suo sogno a occhi aperti, il suo personaggio dei fumetti preferito. È l’incarnazione dei lettori maturi, essendo cresciuta tenendo sempre a mente l’importanza della meraviglia per sé stessa e le persone di tutto il mondo. Non a caso è lei a incoraggiare l’amareggiato Clark, vittima del passaggio del tempo, a indossare nuovamente il costume e portare le sue meraviglie laddove ce ne sia più bisogno.

Superman: Stagioni in breve

Le emozioni veicolate da Superman: Stagioni sono molteplici. In primis la malinconia generata dal ricordo di un passato fumettistico che ora non c’è più, enfatizzato dalle didascalie in prima persona formato “dicono di lui” e dallo stile pastiche di Tim Sale, che non rinuncia a rappresentare Superman con lo stile della Golden Age. Petto gigantesco, mascellone tondeggiante, occhi a fessura e boccuccia imbronciata lo differenziano da un cast dalle proporzioni ben più realistiche immerso in un ambiente architettonico Art déco dal sapore vintage, proprio come il protagonista.

È una storia in bilico tra passato e presente, in cui la nostalgia viene vista con sospetto senza svilire il valore dei ricordi per una crescita sana dell’arte e delle persone. D’altronde, se una volta l’anno possiamo spacciarci per Babbo Natale e fare regali ai bambini, di tanto in tanto potremmo fare lo stesso con Superman e dare una mano quando serve. In entrambi i casi, volare è un optional.

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