Swarm 1x01
Credit: Prime Video

Di fronte a serie come Swarm (Sciame, su Prime Video) viene da chiedersi come sarebbe poter vivere per un giorno nella mente di Donald Glover. Allucinata e inaspettata, violenta e respingente, divertente nella sua satira dell’assurdo, Swarm è degna controparte “drammatica” della sua sorella maggiore, l’ancora imbattibile Atlanta.

Presente e fondamentale è sempre l’esperienza black in America. Mentre in Atlanta tuttavia è il filo conduttore esplicito, qui resta sottotraccia. È il contesto – fondamentale – dentro cui la storia narrata acquista senso, ossia l’importanza culturale che Beyoncé ha acquisito negli anni per le donne nere e per la comunità LGBTQIA+ negli Stati Uniti.

Swarm rilegge l’enorme impatto culturale di Beyoncé alla luce di un racconto violento e traumatico, facendone l’elemento scatenante della follia omicida di una serial killer.

Non è già abbastanza per iniziarla subito?

Questa non è un’opera di finzione: il confine con la realtà

Questa non è un’opera di finzione. Ogni riferimento a individui o eventi reali è intenzionale. È con queste parole che si apre ognuno dei sette episodi di Swarm, arrivando nel penultimo all’estremo: l’uso dello stile mockumentary in cui compare anche il creatore Donald Glover, in un gioco di specchi e rimandi che insiste sul confine tra una realtà assurda e una finzione geniale.

Protagonista è Dre, Andrea Greene (Dominique Fishback, già vista in Judas and the Black Messiah), una ragazza taciturna e impacciata, ben oltre la timidezza. È cioè come bloccata da qualcosa, da traumi che non verranno mai del tutto rivelati ma che sono visibili dal primo momento e incidono sul suo rapporto con il mondo.

Rifiuta l’alcol, il fumo e il sesso, tutto ciò che per i suoi coetanei è la quotidianità, come per la sorella adottiva Marissa (Chloe Bailey). Le due vivono insieme, lontano dai genitori (il perché si scoprirà quasi alla fine). A unirle fin da subito è la passione per la cantante Ni’Jah, una figura chiaramente ispirata a Beyoncé. Per Marissa, è qualcosa di già passato, per Dre è invece un’ossessione, tanto che nelle primissime scene la vediamo acquistare due biglietti in prima fila per un concerto dal costo pari alla sua parte di affitto. E questo è già il primo segnale per il pubblico: tutto ciò che segue è frutto di una mania irrazionale di Dre, qualcosa di totalmente fuori controllo che la porterà all’estremo.

Il fattore scatenante dei suoi violenti crolli psicotici è – mini spoiler – la morte di Marissa, che si immagina subito, per una profonda cicatrice al polso che l’anticipa, e che avviene già nel primo episodio, ma non diremo di più.

È interessante notare, tuttavia, che ognuno di essi è anticipato da un elemento sonoro, il ronzio delle api dell’Hive, l’Alveare. Vi dice niente Queen Bee? L’Ape Regina, il soprannome più famoso di Beyoncé, insieme a quello conseguente del suo fanclub.

Donald Glover e Janine Nabers, i due show runner, in altre parole, scelgono un fenomeno pop come Beyoncé e la sua attivissima e iperprotettiva fanbase per trasformarlo nel nucleo di una satira spietata del racconto televisivo dei serial killer.

Nulla di quello che fa Dre sembra avere senso da un punto di vista razionale. Uccide persone sconosciute, in ogni angolo del Paese, con una violenza spropositata, spesso soltanto a causa di tweet contro il suo idolo Ni’Jah. Altre volte perché incapace di relazionarsi con gli altri se non attraverso la morte.

Credits: Prime Video

Mi dispiace aver versato il latte

I’m sorry I spilled the tea, è una frase di Dre che aiuta a mettere in ordine tra i pensieri e il susseguirsi di immagini violente e cruente di Swarm. La prima volta accade durante una sessione “terapeutica”, che somiglia più all’ipnosi, del quarto episodio, ambientata durante il ritiro spirituale di una sorellanza che Dre incontra per caso. È Eva (una sorprendente Billie Eilish), a capire per prima che dietro quella frase, dietro il latte versato si nasconde in realtà del sangue rosso. Un episodio violento di cui non sapremo mai i dettagli ma che segna la vita di Dre e la sua pulsione a fare del male. È il momento in cui si manifesta il suo bisogno di ricorrere alla violenza, diventando poi l’assassina che vediamo episodio dopo episodio.

Black Women Falling Through the Cracks

L’ho visto altre volte: donne nere passare inosservate. È il titolo del sesto episodio, ma anche la battuta della detective, l’unica ad aver messo insieme tutti gli indizi, fino a capire la verità. Essendo anche lei una donna nera, tuttavia, è improbabile che verrà creduta: passa inosservata nella società. Tagliente e sottile come le migliori battute di Atlanta.     

La detective è anche l’unica ad accorgersi delle briciole di Pollicino che Dre lascia dietro di sé. La prima cosa che fa dopo il primo omicidio è aprire il frigorifero e ingozzarsi di cibo, come a calmare qualcosa dentro di sé, una fame nervosa e non naturale. È un gesto che ripete in modo sistematico, aprendo a due possibili reazioni: il disgusto dello spettatore o il piacere di un umorismo brutale e inaspettato.

Credit: Prime Video

Stile, estetica e rapporto con il pubblico

Lo stesso possibile sdoppiamento si crea nei confronti dell’estetica della serie che insiste su alcuni dettagli in modo morboso, come la già citata cicatrice di Marissa o il rosso del sangue ben visibile a ogni omicidio o ancora il modo ossessivo in cui Dre mangia solo cibo spazzatura.

Ogni gesto di Dre sembra costruito per respingere il pubblico, fin dall’inizio, fin da quel primo episodio – l’unico diretto da Donald Glover – in cui è chiaro che la protagonista vive in una dimensione isolata e anti-sociale dal modo in cui si ferma a osservare Marissa e il ragazzo Khalid durante un rapporto, senza far trasparire sul viso nessuna emozione: né imbarazzo, né curiosità, gelosia o eccitazione.

Dietro i suoi occhi c’è il vuoto e il merito è soprattutto della straordinaria Dominique Fishback che è in grado di dare vita a un personaggio molto complesso, come lo è ogni serial killer: un personaggio mutante, privo di identità perché privo di autoconsapevolezza.

In breve

I sette episodi di Swarm seguono Dre nel corso di due anni, dal 2016 al 2018, periodo in cui gli omicidi commessi sono incalcolabili perché difficili da collegare fra loro.

L’estetica dettata da Glover nel primo episodio – cupa, asfissiante, misteriosa – si mantiene costante generando un senso di angoscia crescente ai prevedibili crolli violenti di Dre.

Dre che è una protagonista anomala da cui si desidera allontanarsi il più possibile per un preciso dettame della sceneggiatura. Una scelta rischiosa che forse più di una volta vi indurrà a mettere in pausa, prima di ricordarvi che è solo satira e che è geniale, aggettivo consapevolmente usato per la seconda volta in questo articolo.

Una piccola curiosità: tra i crediti della sceneggiatura del quinto episodio c’è anche una certa “Malia Ann”. Il cognome non è scritto, ma è Obama. La figlia maggiore dell’ex Presidente USA ha ufficialmente debuttato come autrice televisiva.

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