Presentato fuori concorso alla 78ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, The Last Duel sta per approdare nelle sale italiane. Ridley Scott (di cui siamo in attesa di vedere anche The House of Gucci, sempre con Adam Driver), trae ispirazione dal romanzo del 2004 di Eric Jager, The Last Duel: A True Story of Trial by Combat in Medieval France.
La sceneggiatura è affidata a Nicole Holofcener, Matt Damon e Ben Affleck: questi ultimi tornano a collaborare dopo il successo di più di venti anni fa di Will Hunting – Genio ribelle, per cui vinsero il Premio Oscar. Entrambi gli attori fanno parte del meraviglioso cast: Matt Damon nei panni di Jean de Carrouges e Ben Affleck in quelli del conte Pierre d’Alençon. Si aggiungono Adam Driver, che interpreta Jacques Le Gris, amico e poi acerrimo rivale di Jean de Carrouges, e Jodie Comer, la protagonista morale del film, Marguerite de Carrouges.
Da amici a rivali
Jean de Carrouges (Matt Damon) e Jacques Le Gris (Adam Driver), nella Francia della seconda metà del 1300, combattono al servizio del re, e li lega un rapporto di fiducia e di reciproco rispetto. La sempre maggiore vicinanza e complicità di Jacques Le Gris con il conte Pierre d’Alençon (Ben Affleck) comincerà a mettere a repentaglio l’amicizia tra i due. Che vedrà il definitivo incrinarsi con la battaglia legale per un terreno, e per l’affronto della sottrazione del titolo di famiglia di Jean come capitano di Bellême, affidato invece a Le Gris, per volere del conte. Ma il cuore del racconto, l’insulto ultimo a de Carrouges, è il presunto stupro della moglie Marguerite (Jodie Comer) ad opera di Le Gris – che lo nega – in un momento di lontananza di Jean dalla sua dimora. Un duello tra i due affiderà a Dio lo stabilire chi dica la verità.
La struttura della narrazione
Il mezzo formale che rende efficace la narrazione è la sua ripartizione in tre capitoli “parziali”, introdotti e chiusi dalla cornice “oggettiva” del tempo presente, il 29 dicembre 1386. In questa data si sta svolgendo, a Parigi, il duello del titolo, tra de Carrouges e Le Gris, l’ultimo duello di Dio legalmente sanzionato nella storia della Francia.
Ogni capitolo si propone di raccontare le vicende dal punto di vista di ognuno dei protagonisti della storia: Jean de Carrouges, Jacques Le Gris e Marguerite de Carrouges. In una forma contemporanea (ma applicata ad una materia storica) di narrazione à la Rashomon (Akira Kurosawa, 1950). I fatti che vediamo sono quindi grosso modo i medesimi in ogni segmento, con le naturali aggiunte dovute alla natura privata di taluni accadimenti personali dei personaggi, che approfondiscono, di volta in volta, aspetti di cui la visione che ci viene offerta risulta incompleta e, presto diviene palese, distorta. Di capitolo in capitolo, dunque, il racconto si arricchisce di prospettive inedite volte a dare, degli eventi antecedenti e successivi alla violenza, uno sguardo d’insieme quanto più vasto possibile.
Ma la democraticità della narrazione tripartita pende decisamente ed esplicitamente dalla parte di Marguerite. Il suo capitolo viene introdotto con la stessa dicitura degli altri, come se fosse il terzo e ultimo punto di vista sulla vicenda. Ma il solito titolo, La verità secondo Marguerite de Carrouges, è seguito da “La verità”. Ci apprestiamo quindi alla visione di questa ultima parte ben consci che l’apparente multiformità percettiva della verità cade e si rivela per quello che è: l’ennesimo strumento di autodifesa dell’uomo, che si ripercuote ai danni della donna. Uno scudo soggettivo che mostra quanto la volontà e l’egoistica cecità trasformino le impressioni.
Se non si conosce la storia, se ci si immerge nella visione “vergini”, la struttura di The Last Duel, il suo mellifluo modificare la realtà a seconda di chi la sta esperendo, parrebbe poter/voler nascondere un colpo di scena che si annuncia piano piano. L’aspetto più terribile è proprio che questo colpo di scena non c’è, e la cruda realtà di ciò che abbiamo visto assume con la versione di Marguerite tutta la sua tragicità.
Femminismo medievale
Le scene di battaglia sono cruente e dal dinamismo sempre chiaro, la ricostruzione di un’epoca molto realistica e immersiva, e il passo del racconto sempre sostenuto e mai lento. Le due ore e trenta di The Last Duel avrebbero potuto facilmente diventare ripetitive, ridondanti ed eccessive: in fin dei conti vediamo per tre volte le “stesse cose”. Ma una volta capito il meccanismo, ciò su cui il film sta giocando, annoiarsi diventa impossibile. Anche grazie a una sceneggiatura veramente solida e a delle interpretazioni straordinariamente vere.
L’acuta diversità di alcune scene dal punto di vista di Jean o Jacques rispetto a come sono avvenute realmente, e quindi dal punto di vista di Marguerite, è agghiacciante, e permea The Last Duel di una modernità che è rinfrancante vedere in un film in costume ambientato in epoca tardomedievale. Molti dettagli rimandano direttamente ad alcune delle frasi che ormai siamo tristemente abituati a sentire nei casi di stupro: “lo ha provocato lei”, “lo voleva anche lei”, “guarda com’era vestita” e compagnia cantante. In The Last Duel si arriva [spoiler] al terrificante assunto per cui una donna non può rimanere incinta se non prova godimento: essendo Marguerite incinta, deve per forza aver provato godimento, e quindi non può esserci stato stupro.
Le modalità con cui Jean e Jacques si rapportano a Marguerite danno la misura di quanto lei sia irrilevante ai loro occhi in qualsiasi aspetto che esuli dal bell’arredamento di buona moglie o di bella donna. Il fatto stesso che si giunga al duello di Dio, con il guanto di sfida lanciato da Jean e colto da Jacques, per provare chi stia dicendo la verità, la dice lunga su chi sia al centro del discorso. Così facendo Jean mette in pericolo la vita della moglie, e ciò rende esplicito quanto il suo vero interesse sia nel difendere il proprio onore, e non quello di Marguerite.
Ridley Scott mette in scena una rivalità tra uomini che casualmente trova la sua conclusione in un ultimo scontro provocato da un affronto alla donna. Riesce a inquadrare quanto le differenze culturali, sociali e umane dei due uomini siano il solo e unico punto di vista di due maschi accecati da se stessi. Ma lo fa in un film che, con il passare dei minuti, rende sempre più esplicito il vero focus e il suo posizionamento – che deve essere quello di tutti noi – con la verità. Con il monito, sempre vivo, di ascoltare le vittime.
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