Una scena di Un anno difficile di Olivier Nakache e Éric Toledano
Una scena di Un anno difficile di Olivier Nakache e Éric Toledano. Courtesy of I Wonder Pictures

Il 2023 è stato (almeno per molti) Un anno difficile”, chi potrebbe negarlo? Però, si direbbe, lo sono stati tutti di recente. E infatti la definizione che dà il titolo alla nuova commedia scritta e diretta da Olivier Nakache e Éric Toledano l’hanno usata a più riprese i presidenti della Repubblica francese negli ultimi tempi. Ce lo ricorda la tragicomica carrellata di spezzoni dei loro discorsi alla nazione con cui si apre il film. Più che di singole rotazioni storte della Terra intorno al sole, allora, il problema potrebbe trovarsi nel nostro sistema di vita, orientato al malessere generale (se non alla catastrofe collettiva) con buona pace delle apparenze, della retorica e dell’ottimismo da pubblicità.

Se ne rendono ben conto gli eco-attivisti che nella sequenza iniziale del lungometraggio (presentato al Torino Film Festival e dal 30 novembre in sala per I Wonder Pictures) mettono in atto un blitz davanti all’entrata di un centro commerciale in procinto di farsi prendere d’assalto per il Black Friday. Rompendo la routine del consumismo ottuso che, oltre a renderci sempre più alienati e depressi (per ingrassare i profitti di qualche grande industria), sta portando il pianeta al collasso.

Nonviolenti ma capaci di dare (molto) fastidio ai riti di una società intorpidita, un po’ come i tanto osteggiati (dai benpensanti) attivisti di Ultima Generazione a casa nostra, questi militanti sono gli umanissimi eroi della vicenda, come ci suggerisce la scena in questione montata al ritmo incalzante di un colpo da heist-movie. Ma i veri protagonisti di Un anno difficile non sono loro.

Quasi ecologisti

Come già altre volte nella filmografia di Nakache e Toledano (vedi il loro maggior successo, Quasi amici – Untouchables con Omar Sy e François Cluzet) al centro c’è una coppia maschile, quella formata da Albert (Pio Marmaï) e Bruno (Jonathan Coen). Che del consumismo contemporaneo sono fautori e vittime da manuale, tanto da indebitarsi e compromettere le rispettive relazioni affettive pur di acquistare compulsivamente. La domanda allora è: cosa ci fanno due come loro a un aperitivo con dibattito organizzato da quegli stessi manifestanti anti-Black Friday che impedivano ad Albert e ad altri di avventarsi sulla merce in saldo? Beh, il fatto che gli attivisti offrano birre gratis, naturalmente.

Così, un po’ per scroccare oggetti e mance sottobanco, un po’ per l’attrazione di uno di loro verso l’agguerrita Valentine (Noémie Merlant), i due protagonisti si fingono campioni della causa ecologista e frequentano le iniziative del gruppo cercando di ricavarne ad ogni occasione vantaggi personali. L’idea non è nuova ma continua a funzionare, riportandoci alla tradizione della commedia all’italiana cui i registi si richiamano esplicitamente. Perché un discorso critico sulla nostra società può venire meglio adottando, con la lente critica e deformante dell’umorismo, proprio il punto di vista di chi è parte del problema. Facendoci ridere a denti stretti di derive e vizi che potrebbero essere, e sovente sono, anche i nostri.

Un film non abbastanza cattivo

Peccato che il film non mantenga e non porti sino in fondo la cattiveria e la carica grottesca dei suoi momenti migliori (come la lotta iniziale al ralenti tra gli avventori del centro commerciale), anzi le stempera sin troppo in un finale in cui vincono i buoni sentimenti. Per fortuna compensato dalle incursioni, anche durante i titoli di coda, di Henri (Mathieu Amalric), animatore di un’associazione che aiuta i consumisti patologici ma lui stesso dipendente dal gioco d’azzardo al punto da (tentare di) introdursi mascherato nei casinò. Ed è altrettanto riuscito il ritratto, dove l’ironia previene ogni moralismo, di una comunità di resistenti imperfetti ma coraggiosi nel battersi per una reale alternativa a un modo di vivere che sembra destinato a portarci solo altri anni (sempre più) difficili.

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Emanuele Bucci
Gettato nel mondo (più precisamente a Roma, da cui non sono tuttora fuggito) nel 1992. Segnato in (fin troppo) tenera età dalla lettura di “Watchmen”, dall’ascolto di Gaber e dal cinema di gente come Lynch, De Palma e Petri, mi sono laureato in Letteratura Musica e Spettacolo (2014) e in Editoria e Scrittura (2018), con sommo sprezzo di ogni solida prospettiva occupazionale. Principali interessi: film (serie-tv comprese), letteratura (anche da modesto e molesto autore), distopie, allegorie, attivismo politico-culturale. Peggior vizio: leggere i prodotti artistici (quali che siano) alla luce del contesto sociale passato e presente, nella convinzione, per dirla con l’ultimo Pasolini, che «non c’è niente che non sia politica». Maggiore ossessione: l’opera di Pasolini, appunto.

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