Unbelievable, la serie crime targata Netflix e creata da Susannah Grant, è una piacevole e inaspettata scoperta. Tratta da una storia vera, ispirata agli eventi reali riportati nell’articolo vincitore del premio Pulitzer di The Marshall Project e ProPublica, An Unbelievable Story of Rape, scritto da T. Christian Miller e Ken Armstrong, e all’episodio radiofonico di This American Life, Anatomy of Doubt, racconta di Marie Adler e di due coraggiose e determinate detective.
È il 2008. La serie si apre con Marie (Kaitlyn Dever, che vedremo anche nella prossima stagione di The Last of Us), appena diciottenne, che denuncia di essere stata vittima di violenza sessuale. Le dinamiche sono molto strane, gli indizi e i segni lasciati dal carnefice pochi e poco utili. La polizia, giunta sul posto, non trova segni di scasso e nessuna prova evidente. Segue un’esperienza penosa in ospedale, dove Marie viene sottoposta a diverse visite specialistiche ed esami, che vengono condotti con freddezza e decisamente poca empatia.
Ad assisterla, solo la sua tutor e la madre affidataria. Emerge infatti che la ragazza ha un passato molto problematico. È stata “rimbalzata” da una famiglia affidataria all’altra, alcune delle quali sono state violente e colpevoli di abusi. La madre, con problemi di alcolismo, la maltrattava insieme al compagno. È per questo che Marie, ora, si trova in un complesso residenziale atto a ospitare giovani che devono integrarsi nella società e sono costantemente seguiti da tutor, i quali monitorano i loro progressi e la loro situazione sociale e lavorativa.
Il muro emotivo della protagonista
Nonostante la situazione drammatica, non è semplice entrare in empatia con la protagonista. Marie è una ragazza taciturna, dallo sguardo assente, con dei modi di fare decisamente poco accattivanti e, a tratti, fastidiosi. Ed effettivamente Kaitlyn Dever è stata molto brava a delineare il ritratto di una persona ambigua e sfuggente. Persino noi spettatori abbiamo qualche difficoltà a prenderla sul serio.
La ragazza si contraddice più e più volte quando racconta i fatti, instillando anche in noi il dubbio che stia mentendo. Ed è esattamente la conclusione a cui giungono i detective: Marie ha detto una bugia per attirare l’attenzione.
Tuttavia, anche il loro atteggiamento spocchioso non può che creare fastidio. Prima di tutto, le chiedono moltissime volte di raccontare l’accaduto, rivelando una imbarazzante mancanza di empatia. Poi, quando sono ormai convinti che Marie stia mentendo, la mettono sotto pressione, costringendola a rivedere la sua deposizione.
Unbeliavable mostra una società con molte falle
Benché il sistema di tutela dei giovani in difficoltà sembri perfetto da un punto di vista teorico, è evidente che non funzioni sul piano pratico. Anche se la versione ufficiale dei fatti è che Marie ha detto una bugia, bisogna cercare di comprendere i motivi per cui una persona possa arrivare a mentire in modo così grave.
Ma alla ragazza non viene offerto supporto, né una terapia psicologica. L’unica risposta della società è la gogna mediatica. Non solo viene rivelato il suo nome alla stampa, ma tutti i ragazzi del condominio la maltrattano, la insultano, le mandano messaggi minatori. E i responsabili del centro residenziale, così solleciti quando la ragazza aveva denunciato la violenza, non fanno nulla per proteggerla. Anzi, rincarano la dose, imponendole un coprifuoco e regole ancora più restrittive. E come se non bastasse, la polizia la denuncia per falsa testimonianza, costringendola a comparire in tribunale.
La situazione sembrerebbe disperata, se non fosse per due detective eccezionali – Spoiler alert
Nel 2011, il Colorado è terrorizzato da una serie di stupri sempre più frequenti, ai danni di donne di tutte le età, che hanno come comun denominatore quello di vivere da sole. I casi sono sottoposti all’attenzione di due poliziotte di due diversi distretti, le investigatrici Grace Rasmussen e Karen Duvall (i premi Emmy Toni Collette e Merritt Wever).
Le due donne si prendono subito a cuore questi casi e, malgrado la diffidenza iniziale, decidono di collaborare. È quasi palese che si tratti della mano di un solo uomo: nessun segno di effrazione, l’uomo sorprende le vittime nel sonno con il volto coperto, le minaccia, scatta loro delle fotografie e, dopo averle violentate per ore, svanisce nel nulla. Per di più, ripulendo la scena e lasciando pochissime tracce di DNA, pressoché inutili per un eventuale riconoscimento. Emerge subito la differenza di trattamento riservata alle altre vittime, rispetto a Marie.
Mentre Marie era stata trascinata dall’ospedale al commissariato, dopo essere stata sottoposta a una serie di esami estenuanti e presumibilmente dolorosi, spogliata di malagrazia per scattare delle foto al suo corpo nudo come elementi probatori, le vittime che hanno la fortuna di incappare nelle due detective ricevono ben diverso trattamento. Amber, che viene interrogata da Karen, racconta i fatti a tu per tu con la poliziotta, nell’intimità della macchina e al riparo da occhi indiscreti. All’ospedale viene accolta con gentilezza ed è la stessa detective che la va a prendere conclusi gli esami, per poi portarla a casa di un’amica, pronta ad accoglierla con il vino, cibo e un bagno caldo.
Unbelievable mostra un meccanismo “perfetto” che si inceppa
Nonostante il trattamento riservato alle vittime di violenza carnale sia uguale per tutte e tutti, è chiaro che trascura non poco il fattore umano. L’impressione è quella di un asettico susseguirsi di formalità e procedure burocratiche che, nel caso di Marie, si svolgono in silenzio e con estrema freddezza. Nel caso di Amber, invece, sono accompagnate da compassione, comprensione ed empatia. E sicuramente ci sono due elementi sostanziali che determinano questa differenza. Nel caso di Amber, l’indagine è condotta da una donna. Inoltre, Marie è una giovane donna problematica con un passato di famiglie affidatarie. Amber, una “brava ragazza” che sta studiando informatica al college ed è ben integrata nella società. Unbelievable non dichiara esplicitamente queste due differenze, ma risultano abbastanza evidenti dai sottintesi. Ed è proprio su questo che lavora Unbelievable: sui sottintesi.
La serie non esplicita niente. Racconta dei fatti, lasciando che questi, accompagnati da sguardi e piccoli gesti, parlino da soli. E a tale proposito, è giusto fare due menzioni speciali: Merritt Wever e Toni Colette. Chi ha avuto modo di apprezzare Merritt Wever in New Girl nei panni di Elizabeth, storica fidanzata di Schmidt, non potrà credere ai suoi occhi, quando la vedrà immersa nei panni di un personaggio completamente diverso. La sua detective Karen Duvall è competente, devota al suo lavoro, dolce, ma incredibilmente determinata se si tratta di fare giustizia.
Toni Collette, invece, ha ancora una volta dimostrato il suo talento camaleontico. Da madre depressa nel film About a Boy, a posseduta in Hereditary, a misteriosa e sensuale ne La fiera delle illusioni, l’attrice è riuscita anche stavolta a creare un personaggio unico e “vero”, che suscita simpatia nonostante la facciata da dura che ostenta per l’ottanta per cento della serie. La sua è una recitazione fatta di sguardi e piccoli sorrisi appena accennati, dietro i quali c’è un mondo di pensieri che ci affascina e ci tiene incollati allo schermo.
Le vicende dei protagonisti ci appassionano così tanto, che alla fine la condanna del criminale passa (quasi) in secondo piano. Ciò che è importante, è che le vittime abbiano ottenuto la giustizia di cui avevano bisogno e che possano tornare a vivere, nonostante siano consapevoli del fatto che la loro vita non sarà più la stessa.
Dopo orrori simili, purtroppo, si può solo sperare di ricominciare da capo, libere, per quanto possibile, dai fantasmi. Ed è esattamente quello che cerca di fare Marie. Dopo aver ottenuto quella che per lei è giustizia, parte per iniziare una nuova vita, altrove, lontana da tutti coloro che le hanno fatto del male.
Paradossalmente, non incontrerà mai di persona le due detective che le hanno permesso di dare voce alla sua verità. Eppure, sono state loro, con il materiale probatorio trovato in casa del suo carnefice, che hanno dimostrato quello che lei aveva detto a gran voce fin dall’inizio.
Marie non stava mentendo. La ragazza era solo non creduta, messa a tacere perché la polizia non ha indagato come avrebbe dovuto. Perché perdere tempo con una ragazzina fragile, in cerca di attenzioni? Eppure, sarà proprio quella ragazzina fragile a lasciare la polizia senza parole. Perché, come gli fa notare con una pacatezza invidiabile, non le hanno mai chiesto scusa. Marie voleva solo questo: comprensione prima, delle scuse poi. Per fortuna, saranno le due poliziotte a restituirle fede nell’umanità. Come lei stessa dice, sapere che due persone, dall’altra parte degli Stati Uniti, si sono dedicate al suo caso, si sono interessate a lei e abbiano salvato la sua vita, è stato il dono più grande.
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