Bigger than Us

«Qui fuori noi diciamo la verità. La gente al potere ha ovviamente paura della verità. Ma non importa quanto ci provino, non possono scappare alla sua evidenza. Non possono ignorare il consenso scientifico e non possono soprattutto ignorare noi, la gente, loro figli inclusi. Non possono ignorare le nostre urla mentre reclamiamo il potere. Siamo stanchi dei loro bla bla bla. I nostri leader non ci stanno portando da nessuna parte. Questa (alludendo alla platea) è la vera leadership»

Sembrano ancora riecheggiare le parole di Greta Thunberg dal palco di COP26 nel novembre 2021 a Glasgow. Si potrebbe quasi confonderle con uno dei tanti moniti dell’attivista svedese che, dal 2018 ad oggi, imperversano tra le piazze e i cortei del movimento Friday for Future. Eppure in quelle parole, smaccatamente incendiarie, trasaliva l’aspetto forse più rappresentativo dell’attivismo moderno: la collettività della leadership, affermare istanze e rivendicazioni a partire da esperienze di lotta relazionali e interconnesse. 

Dentro e dietro l’immagine, una panoramica sul senso dell’attivismo  

Potremmo concepirlo come l’ultimo vero baluardo della militanza contemporanea che trova, non casualmente, i nativi digitali come principali attori. Chi se non coloro che si trovano a ereditare un mondo consunto e decimato di ogni risorsa, può sentire l’impellenza di un cambiamento? 

Un interrogativo, quest’ultimo, che conferma quanto diritti sociali e civili (tra loro interdipendenti), riscaldamento climatico e questione ambientale nell’insieme demarchino anzitutto un conflitto generazionale tra i detentori di un sistema fallimentare e asfittico e i promotori di una visione trasformativa; tra chi vede negli abusi dell’industria fossile un problema ‘troppo grande’ e fuori dalla portata comune, e chi invece, sentendola propria, traduce il dissenso in azione politica

È questo il solido fil rouge di Bigger Than Us – Un Mondo insieme, documentario di Flore Vasseur candidato al Premio César 2022, che vanta nel novero dei produttori una madrina d’eccezione: Marion Cotillard. Presentato in anteprima alla 74° edizione del Festival di Cannes sotto l’eloquente sezione ‘Cinema for the Climate’, il film è un ideale affresco dell’odierna mobilitazione civile, un dietro le quinte ad ampio respiro sul senso dell’attivismo, la sua dimensione trasversale e interplanetaria, unito in ogni latitudine, più forte di qualsiasi confine.

Nella sostanza, un futuro in gioco 

Sei sono i volti, i vissuti e le pratiche di conflitto raccontate. Il film ripercorre il lungo viaggio per il globo di Melati Wijsen, attivista indonesiana che, assieme alla sorella Isabel, si batte fin da giovanissima contro il sovraconsumo di plastica nel proprio Paese (in particolare a Bali, nelle cui alture si staglia la discarica di Suwung, estesa per oltre trenta ettari).

Nel suo itinerario Melati conoscerà altri coetanei come lei impegnati nelle sfide a cui le loro rispettive comunità li stanno richiamando: da Xiuhtezcatl Martinez, noto anche nell’universo hip pop, preso a fronteggiare le derive dell’industria petrolifera nel Colorado, passando per Memory Banda, attivista malawiana dei diritti dell’infanzia che, da anni, sensibilizza gli organi internazionali sulle aberrazioni dei matrimoni precoci, fino al giornalista indipendente brasiliano René Silva, da tempo artefice di una tortuosa opera di controinformazioni contro le fake news perpetuate ai danni delle popolazioni ai margini, in primis degli abitanti delle Favelas, e tanti altri. 

Diritti umani, clima, libertà di espressione, giustizia sociale, accesso a cibo e istruzione; tante le assi portanti di una comune impalcatura: la prospettiva di un mondo possibile. Con uno sguardo complice e accorto, il film si propone come utile excursus per comprendere il sostrato dell’odierno impegno civile; le ragioni, individuali e sociali, alla base di mezzi e pratiche volte a decostruire un modello in declino.    

Al cinema il 22, 23, 24, 25 e 26 aprile – In occasione della Giornata della Terra.

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Francesco Milo Cordeschi
Sono un comune romano del mondo che, dal 1990, coltiva avidamente più ossessioni: l'influenza degli spazi sull'identità, l'influenza degli immaginari sull'identità e, soprattutto, l'influenza di Tim Burton e Vittorio De Sica sull'identità. Di recente, sto anche esperendo l'importanza dei The Killers quando si è soli in macchina. Mi interesso e discetto di cinema, arti visive, politica e attualità tout court, con la lente prediletta dei gender studies. Collaboro tutt'oggi con diverse realtà editoriali. Nel 2021 è uscito il mio primo saggio 'Wonder Woman - Un'Amazzone tra noi', edito da Armillaria.

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