Chi ha paura di Virginia Woolf?

L’apertura a Broadway di Who’s Afraid of Virginia Woolf?, dramma in tre atti di Edward Albee, qualifica il 13 ottobre 1962 come una delle date chiave del dramma americano. Oggi sono 60 anni dalla sua prima messa in scena, 60 anni che non sembrano trascorsi vista la sua attualità.

Il Dramma Americano

Gli Stati Uniti sono una tra le nazioni più giovani. Non per nascita, ma per creazione. La loro cultura ha meno di tre secoli di vita e il loro teatro poco più di un secolo. Eppure solo nella prima metà del secolo scorso, nel teatro americano si annoverano i nomi di alcuni dei più grandi drammaturghi moderni: Eugene O’Neill, Tennessee Williams e Arthur Miller. Le loro opere, universalmente apprezzate, hanno impostato i canoni del moderno dramma americano. Eppure i drammaturghi statunitensi di fine secolo tingono le loro opere di un’ironia feroce e grottesca. Le tragedie diventano tragicommedie. E qui si inserisce Edward Albee (1928-2016).

Fu il primo a svecchiare il teatro americano senza tradirlo. La famiglia, la vera protagonista del dramma americano, restò il disfunzionale luogo dove consumare il dramma. Ma non si piangeva del dramma, lo si interrogava. Albee, che viene spesso ricondotto al Teatro dell’Assurdo, rese i suoi protagonisti uguali a tutti i suoi spettatori. Non si sarebbe più assistito solo alle tristi vicende di Blanche DuBois (A Streetcar Named Desire), di Willy Lowman (The Death of a Salesman) o dei Tyrone (Long Day’s Journey into Night). I personaggi di Albee divennero universali. Divennero l’America.

Azione e Assurdo

Una sera, dopo un party, una coppia di mezza età, George e Martha (rimando ai coniugi Washington) invitano una giovane coppia a casa loro, Nick e Honey. È un incontro notturno tra due coppie. No, è un jeu de massacre.

Una delle due è senza figli per natura, l’altra per volontà. Nick, il giovane, si occupa di biologia (il “futuro”), mentre George, il vecchio, si occupa di storia (il “passato”). Martha soffre a tal punto l’assenza di un figlio che non riesce a fuggire dall’illusione creata, Honey non vuole figli perché ha paura dei dolori del parto. Nick è un arrampicatore sociale senza troppi scrupoli, George è incapace del cinismo che gli servirebbe per farsi strada nella vita.

La dicotomia è un modus operandi caro al Teatro dell’Assurdo. Così come l’assenza di conclusioni, la carenza di azioni con un reale significato. Un’azione non ha più significato della sua azione opposta.

La generazione rappresentata sul palco non ha figli. L’assenza di figli di questi personaggi è il simbolo di una sterilità più generalizzata sia nelle loro vite come individui, sia nella società nel suo insieme. Albee usò quattro personaggi per parlare della società in cui viveva, all’epoca preoccupata per il futuro e per i dissidi interiori che la laceravano, e dell’essere americani.

Il titolo

Albee spiegò che era uno scherzo scritto che trovò per caso un giorno. Era una storpiatura goliardica della filastrocca dei tre porcellini della Disney, “Who’s Afraid of The Big Bad Wolf?”

Ma non era solo questo.

La paura di Virginia Woolf è la paura di vivere una vita di fronte alla realtà. Il tema centrale dell’opera è la necessità della rimozione dell’illusione da una relazione, ed è incarnato nel titolo che Albee ha spiegato come significato: chi ha paura di una vita senza illusione? Chi ha paura di affrontare la realtà?

Ma non solo. Woolf, brillante scrittrice, ha cercato di vivere la sua vita senza false illusioni, ma la sua stessa vita è stata caratterizzata da periodi di follia. Ed è dal baratro della follia, dalle illusioni nella realtà che infine George salva Martha.

George: Chi ha paura di Virgina Woolf

Martha: Io… George… Io…

George annuisce lentamente. Pausa.

Sipario. Fine.

Il bambino

Il fulcro dell’opera diventa piano piano il figlio di George e Martha. Il bambino è la grande illusione intorno a cui si condensa l’azione. I due hanno progettato tutta la sua vita in un gioco privato dove le regole sono cangianti (il colore degli occhi, le difficoltà del parto).

La regola sovrana del gioco è semplice; non rivelare ad altri la sua esistenza. Il figlio di George e Martha è un’illusione auto-creata, una finzione che hanno scritto insieme e che hanno tenuto privata.

Anche sulla creazione del loro figlio i due litigano; per Martha era risentito dei fallimenti paterni, per George era soffocato dalla madre. Eppure il bambino immaginario è ciò che veramente li unisce. Rivela una profonda intimità tra questi personaggi ora amaramente delusi. Dalla creazione iniziale di qualcosa che li unisse, hanno messo l’uno contro l’altro il loro figlio illusorio. Entrambi fingevano che il bambino avrebbe amato l’uno e disprezzato l’altra.

George e Martha

Per quanto possano sembrare simili, i due personaggi sono profondamente diversi. Entrambi sterili e cinti di sogni infranti o mai realizzati, i due sono costretti ad affrontare la vita insieme così com’è senza rifugiarsi in ciò che avrebbe potuto essere. Devono combattere la vacuità della loro unione tenendosi uniti e non conoscono altro modo che insultarsi, aggredirsi a vicenda e ubriacarsi. Si rinfacciano errori passati e degenerazioni attuali. Poi si scagliano sulla giovane coppia e usano la fiducia che guadagnano per attaccarli. La loro è una triste condizione di natura che hanno mascherato con un’illusione. Ma non hanno mai rifuggito la realtà al punto da parlare di questo loro figlio a qualcuno. Fino a quel momento.

George a quel punto deve assolvere il compito di liberare Martha dall’illusoria realtà che si è costruita intorno. C’è un evidente richiamo biblico al fatto che il padre debba uccidere il proprio figlio. George non uccide suo figlio per vendicarsi di Martha, ma per impedirle di perdere il contatto con la realtà. Lo fa per quell’affetto che alla fine del dramma sembra germogliare tra i due nelle macerie notturne.

Nick e Honey

Giovani e apparentemente innocenti, i due si conoscono fin dall’infanzia e si sono sposati per una gravidanza isterica. Sono uno specchio deformato di George e Martha. Durante l’opera emerge che Nick l’abbia sposata soprattutto per l’eredità paterna. Oltre a ciò la tratta come una bambina, difendendola dalle scurrilità di George e proteggendola. Ma Nick è un arrivista che non esita a tradire la moglie con la figlia del presidente dell’università pur di realizzare le sue ambizioni.

L’illusione qui è la loro immagine di coppia presentabile e promettente. La loro attuale assenza di figli non è, come la presentano, quella di una giovane coppia che non ha avuto il tempo di sistemarsi, ma è il risultato di aborti segreti da parte di Honey.

Struttura dell’opera

Il dramma presenta ciascuno dei tre atti con un titolo. Il primo, Divertimento e giochi, suggerisce un tema portante: il complesso gioco di George e Martha nell’evitare la realtà e creare illusioni. I due inoltre giocano con la coppietta come il gatto con il topo, in attesa di distruggerli.

Implicita anche nel termine “gioco” è l’idea che abbia anche un insieme di regole. E proprio all’inizio la regola del loro gioco viene infranta da Martha.

Il secondo atto si chiama Walpurgisnacht, La notte di Valpurga. Questa è una notte in cui si può riscontrare qualsiasi tipo di comportamento tra i partecipanti, e nella letteratura, o nel linguaggio in generale, il termine “Notte di Valpurga” è arrivato a indicare qualsiasi situazione che abbia una qualità da incubo o che diventi selvaggia e orgiastica. Si materializzano gli spettri, le illusioni delle rispettive coppie.

Nell’atto III, L’esorcismo, il rito del titolo è applicato a Martha. Nel corso dell’atto George recita stranamente il Kyrie Eleison e usa incantesimi, esortazioni e altri dispositivi necessari per liberare Martha dall’illusione che il loro “bambino” esista e riportarla in un mondo libero dalla fantasia.

Vi voglio dire che…

Questa è una delle opere più feroci e commoventi che ci siano. Il teatro americano ha regalato spesso opere di questo calibro. E quelle che cito all’inizio ne sono una prova. Tutte meravigliose e attualissime.

Ma c’è un forte affetto tra e me quest’opera anche per via degli attori che la interpretano nell’adattamento cinematografico: i coniugi Burton e Taylor. Con la loro chimica, il loro vero legame, la loro unione professionale e sentimentale, io ho conosciuto per la prima volta George e Martha, la creazione del loro figlio illusorio dettata dalla loro sofferenza. Il loro tenero, tragico e sincero amore fatto di sopportazioni e legami malati. Persino ora, sulla copertina del mio testo drammatico, c’è una loro immagine dal film.

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Francesco Gianfelici
Classe 1999, e perennemente alla ricerca di storie. Mi muovo dalla musica al cinema, dal fumetto alla pittura, dalla letteratura al teatro. Nessun pregiudizio, nessun genere; le cose o piacciono o non piacciono, ma l’importante è farle. Da che sognavo di fare il regista sono finito invischiato in Lettere Moderne. Appartengo alla stirpe di quelli che scrivono sui taccuini, di quelli che si riempiono di idee in ogni momento e non vedono l’ora di scriverle, di quelli che sono ricettivi ad ogni nome che non conoscono e studiano, cercano, e non smettono di sognare.

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