Roma, il cinema e un viaggio lungo una notte, queste le premesse di Finalmente l’alba, film di Saverio Costanzo in concorso all’80ª Mostra del cinema di Venezia e distribuito da 01 Distribution. Protagonista è la giovane Mimosa (Rebecca Antonaci) che nella Cinecittà degli anni ’50 accetta l’invito mondano di Josephine Esperanto, una famosissima attrice americana (Lily James), con cui trascorrerà ore infinite e inesauribili insieme ad altri attori internazionali. Da quella notte ne uscirà cambiata, all’alba, consapevole che il coraggio non risiede nel compiacere gli altri, ma nell’autodeterminazione e nella conoscenza di sé.
Dopo il grandissimo successo della serie L’amica geniale, Saverio Costanzo torna alla regia con un film raffinato, seducente e con una scrittura che sprigiona vertigine.
Il buio della notte prima dell’alba
Lentamente si intravede la luce dell’alba, dopo l’interminabile notte vissuta tra l’oscurità degli inferi. Il richiamo alla vera storia di Wilma Montesi e alla sua tragica morte, mai risolta, è intessuto nell’intero racconto, ma il nucleo che Costanzo vuole raccontare è il coming of age di Mimosa, a cui consacra una scrittura a cuore aperto, potente, empatica e scevra dal timore di far male.
Mimosa viene divorata in modo imprevedibile dalla Hollywood sul Tevere degli anni ’50, luogo di set, star, feste, vanità e peccato. Reame di una Dolce Vita, che dolce non lo è affatto. Con il sogno di diventare attrice, cavalcando le luci della ribalta, la protagonista si accorgerà ben presto, in realtà, di ritrovarsi nell’incubo. Una Cinecittà dall’immaginario felliniano, lussuriosa, macchiata di superbia, che si fa vessillo di scandalo e perversione, divenendo proscenio di decadenza e frustrazione. Un mondo che, se guardato da vicino rivela un’essenza illusoria, ipocrita e disumana.
La trama di Finalmente l’alba si ricama perfettamente sul ritmo andante delle musiche di Massimo Martellotta, capaci di rendere percepibile un sentimento, la paura di non riuscire a rivedere la luce. Il film suggestiona e ammalia con il medesimo charme di Hollywood, che impunemente attira nella gabbia dorata e poi condanna all’eterna insoddisfazione, e nei casi peggiori, alla morte.
Mimosa, il raffinato prototipo dell’antidiva
Mimosa è l’agnello in mezzo ai lupi, la santa tra i peccatori, la vera diva-antidiva tra gli impostori, ma mai una vittima. È colei che viene traghettata nel girone dell’inferno e che offre un’alternativa all’epilogo infausto del caso Montesi: fortunatamente, lei, riesce a tornare a casa. Una figura femminile che va al di là del prototipo della star, semplice, pura, inconsapevolmente genuina, impacciata, una creatura sicura nella sua insicurezza, di famiglia modesta, e che con il suo accento fortemente romano riesce a essere faro tra le tenebre, e verità tra le menzogne. La giovane donna, in una sola notte, è chiamata a riconoscere il pericolo, nutrito da inganni, orrori, cocaina, e da diavoli tentatori che attendono solo di poterle togliere l’innocenza.
Costanzo plasma il suo cinema in una dimensione onirica che richiama belve feroci, domate esclusivamente dal coraggio e dalla dignità del dissenso. È così che Mimosa si risveglia dall’incubo, trova la via d’uscita dal labirinto demoniaco e infine emerge dal buio della notte più buia, addomesticando la leonessa, e scorgendo finalmente l’alba.
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