I tre moschettieri
I tre moschettieri - D'Artagnan. Credit Notorious Pictures

Dal 6 Aprile 2023 nei cinema di tutto il mondo, I Tre Moschettieri – D’Artagnan, per la regia di Martin Bourboulon, è il primo film di un dittico che adatta il romanzo omonimo di Alexandre Dumas.

Raffinato film storico di spie e intrighi politici, questo nuovo adattamento cala le vicende dei moschettieri nella storia reale e mortale. Sceglie la via dell’arte invece di quella del blockbuster.

Parigi val bene una messa

1627. Infuria la guerra dei Trent’anni in Europa. Dopo quasi un secolo di continue lotte interne la Francia è ancora divisa tra protestanti e cattolici. I protestanti, la cui sede è l’enclave di La Rochelle, sono supportati dall’Inghilterra e minacciano il potere della corona. Il debole re Luigi XIII (Louis Garrel), succube del suo consigliere, il potente cardinale Richelieu (Eric Ruf), non riesce a prendere una posizione di forza nonostante la gravità della situazione.

Il giovane guascone Charles D’Artagnan (François Civil) si reca a Parigi per diventare un moschettiere. Arrivato in città il ragazzo diventa un cadetto e stringe amicizia, in maniera rocambolesca, con tre moschettieri: Athos (Vincent Cassel), Porthos (Pio Marmaï) e Aramis (Romain Duris). Insieme ai suoi nuovi compagni il giovane si troverà invischiato in mortali intrighi politici da cui dipendono il destino della regina Anna (Vicky Krieps) e della corona di Francia.

Via le cappe azzurre, dentro i coltelli

Basta con l’avventura patinata, fiabesca, o quella eccessiva che diventa un’azione di poco pregio: il regista opta per il realismo. C’è una cura meticolosa per le scenografie, suggestive e coinvolgenti, le musiche, vibranti e armoniose, e i costumi, scevri da pizzi e colori troppo accesi. Il film di Bourboulon dipinge una Francia scura e uggiosa che sembra uscire dai quadri fiamminghi del Secolo d’oro olandese.

Le ispirazioni poi vengono dai migliori film storici, francesi e non. La regina Margot (1994) di Patrice Chéreau permea questo film con la tensione tra protestanti e cattolici, e annessi intrighi. Il Cyrano de Bergerac (1994) di Jean-Paul Rappeneau è citato direttamente e visivamente, come nel primo duello ciclopico con le numerose guardie del cardinale. Nulla che però sfocia nel supereroistico. Anzi, di lì in poi l’azione cresce in intimità e tensione. Anche Il destino di un guerriero (2006) di Agustín Díaz Yanes ha un notevole peso nella messa in scena. Le scene d’azione vengono sporcate dal fango, dalla fatica e dal peso che la storia vera esercita nelle vicende romanzesche.

Un plauso all’ottima sceneggiatura di Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière che non impelaga storia e personaggi nel patetico o nel grottesco, ma trova una sua via. L’intero dittico è costato 70 milioni di euro.

I tre moschettieri – D’Artagnan. Credit Notorious Pictures

Occhio d’aquila, gamba di cicogna, sono questi i cadetti di Guascogna

Nonostante interpretino personaggi che ormai sono delle vere e proprie maschere, gli attori trasmettono una nuova forza e una naturalezza sentita nelle loro interpretazioni. François Civil restituisce in ogni gesto o parola uno sfrontato e coraggioso giovinastro, umile sognatore d’amore e d’avventure, fedele oltre il ragionevole e sempre pronto a lanciarsi spada alla mano contro la malvagità umana.

Louis Garrell dà vita ad un personaggio quasi amletico. Ascoltatore più che conservatore, pensieroso più che attore, la regia indaga la personalità del re che l’attore mostra con movimenti corporei e toni vocali appositamente studiati.

Sensuale come un miraggio, Eva Green è la donna misteriosa (che tutti noi, ahimé, conosciamo bene), che si muove come l’angelo della morte tra cardinale e moschettieri. Ella vive della grazia della sua meravigliosa interprete dagli occhi magnetici. Intrigante, bellissima, malinconica e rancorosa. Un suo sguardo dà vita ad un oceano di memorie sanguinarie, passate e future.

Non è il nome di un uomo, ma di una montagna

Degno di una menzione particolare è l’Athos di Vincent Cassel. Mi colpisce sempre pensare che nel romanzo il personaggio, nonostante il passato sconvolgente che si porta dietro, ha solo 27 anni. L’attore ne ha quasi 30 in più.

Ma all’insegna del realismo dobbiamo considerare l’epoca, le condizioni di vita dure, l’abbrutimento e l’assenza di igiene. Molti personaggi hanno infatti i volti sporchi o sfigurati. E l’età avanzata dell’attore francese sposa la figura senza tempo di questo uomo diroccato, sconfitto nelle idee, nella morale, e privo di una vera ragione per vivere. È solo un rudere di un passato che continua a tormentarlo.

Quando nel film emerge una nuova sotto-trama, inesistente nel romanzo, nell’occhio del ciclone c’è Athos, che brilla grazie a Cassel, di un’antica gloria e di una fiera decadenza. A questa aggiungerà (in seguito) una resa dei conti ulteriore, oltre a quella celebre con la sua storia e le scelte passate.

I tre moschettieri – D’Artagnan. Credit Notorious Pictures

Cos’è veramente I tre moschettieri?

I migliori titoli di romanzi, diceva Umberto Eco, sono delle menzogne. Perché I tre moschettieri (1844), primo capitolo di una trilogia d’avventura, è sostanzialmente la storia del quarto membro: Charles D’Artagnan.

Romanzo d’avventura di oltre 600 pagine, pubblicato a puntate, cioè serialmente di capitolo in capitolo (il cosiddetto Feuilleton), è un pilastro della letteratura mondiale.

Il romanzo a puntate nel primo ‘800 era un vero antesignano dei serial televisivi. Coloro che sapevano leggere, capitolo della settimana alla mano, li “declamavano” ai familiari, ai condomini. Spesso la gente si riuniva nelle piazze di quartiere per sentirli. Un altro grande scrittore di romanzi a puntate fu Charles Dickens. È chiaro che romanzi di questo tipo hanno bisogno di elementi indispensabili per risultare accattivanti per lungo tempo. Colpi di scena, scontri, avventure amorose, intrighi e complotti.

Sta all’abilità dello scrittore tenere le redini dell’opera nel suo insieme. E se a quasi duecento anni dalla sua pubblicazione siamo ancora qui a parlarne, è perché Dumas era un grande romanziere.

I Tre Moschettieri sono un “fenomeno” mondiale. La loro storia ha goduto di moltissime traduzioni e innumerevoli edizioni. Con l’avvento del cinema, della radio, della televisione, sono poi venuti alla luce numerosissimi adattamenti di ogni sorta.

Tutti per uno, uno per tutti

Consideriamo che questa frase celeberrima appare una sola volta nel terzo romanzo della saga, Il Visconte di Bragelonne. Ciò fa capire la portata di questo “fenomeno”. Ci sono più di un secolo di adattamenti cinematografici che hanno esplorato, distorto e plasmato in cento e più modi le vicende dei moschettieri. I primi risalgono agli anni ‘10, principalmente francesi e hollywoodiani.

È del 1921 però la versione con protagonista Douglas Fairbanks. Fa parte di una serie di pellicole mute (e poi sonore) d’avventura che segnarono il cinema hollywoodiano tra le due guerre.

Negli anni ‘30 cominciarono i primi remake (il film di Henri Diamant-Berger del ‘32, remake sonoro di una serie di film muti francesi del 1921) e le prime pellicole che trasponevano le avventure dumasiane in altri contesti (I Tre Moschettieri del 1933, con John Wayne). Iniziarono anche ad essere girati dei film all’estero, in Italia e in Messico (e poi in Russia). Vennero poi i primi adattamenti animati e da lì in poi ce ne sono stati sempre di nuovi, di ogni tipo.

Di notevole pregio sono quelli del 1948 (con la regia di George Sidney), e il film in due parti del 1973-1974 (regia di Richard Lester), che porta un sano umorismo picaresco nelle vicende. Entrambi godono di un cast stellare e sono stati dei successi di pubblico e critica.

In breve

Una delle storie più abusate di sempre si è scrollata la patina farsesca degli ultimi 50 anni ed è tornata tra le braccia dei francesi. In maniera esemplare. I tre moschettieri – D’Artagnan è un film dalla forte intensità artistica, che raggiunge un vibrante apice lirico nelle scene finali, per poi sublimarsi nella chiusura di quella che purtroppo, e per fortuna, è solo una prima parte.

Dumas val sempre bene una visione.

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Francesco Gianfelici
Classe 1999, e perennemente alla ricerca di storie. Mi muovo dalla musica al cinema, dal fumetto alla pittura, dalla letteratura al teatro. Nessun pregiudizio, nessun genere; le cose o piacciono o non piacciono, ma l’importante è farle. Da che sognavo di fare il regista sono finito invischiato in Lettere Moderne. Appartengo alla stirpe di quelli che scrivono sui taccuini, di quelli che si riempiono di idee in ogni momento e non vedono l’ora di scriverle, di quelli che sono ricettivi ad ogni nome che non conoscono e studiano, cercano, e non smettono di sognare.

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