Il primo giorno della mia vita
Ph Maria Marin

A poco più di un anno da Supereroi, Paolo Genovese ritorna con Il primo giorno della mia vita, un film struggente, da metabolizzare con lentezza. Adattamento cinematografico del romanzo omonimo (2018), scritto dallo stesso regista, e prodotto da Lotus Production.

Usciti dalla sala si fatica a respirare, a liberarsi dal nodo alla gola e a rimettere in ordine le idee e i pensieri. Ma il regista romano è così, si insidia nell’emisfero delle paure e scava nel profondo, alla ricerca di risposte che mai nessuno vorrebbe dare. Così come in The Place (2017), anche questa volta, ci si imbatte in un bivio esistenziale, in una scelta sospesa tra la vita e la morte, tra l’agonia e la salvezza. Una storia che risveglia il lato più intimo e timoroso dell’essere umano.

Sinossi

Un uomo misterioso (Toni Servillo) si presenta a quattro persone (Valerio Mastandrea, Margherita Buy, Sara Serraiocco) tra cui un bambino (Gabriele Cristini), che hanno toccato il fondo e vogliono farla finita, e propone loro un patto: sette giorni di tempo per farli rinnamorare della vita.

Il suo scopo è quello di offrirgli una seconda possibilità, facendogli ripercorrere e riscoprire il Mondo, ma senza di loro e aiutarli a trovare un nuovo senso alle proprie esistenze.

La vita scorre nonostante la sospensione e la morte

Genovese ha l’abilità di penetrare, in totale stato di grazia, nelle emozioni angoscianti e dolorose, come un pugno sferrato allo stomaco ed una lancia trafitta nel petto. Il film parla di vite sospese in un limbo, dove il deus ex machina, interpretato da un magnifico Toni Servillo, si fa un po’ Virgilio e un po’ Caronte, traghettando anime che non hanno nulla da perdere, se non la loro ultima speranza.

Viene concessa, loro, una settimana di tempo per ripensarci e colmare lo strazio esistenziale, incompreso ed inespresso. Un ripensamento, che aderisce simultaneamente al divenire degli eventi e al futuro sconosciuto ed inesplorato, che va ben oltre la sospensione e la morte. 

Il topic narrativo valica insicuro, il limite tra il rimorso ed il rimpianto, tra il “sé l’avessi fatto” e il “sé l’avessi detto”, una condanna all’incertezza delle buone, e delle cattive azioni, che cristallizzano il destino e le scelte dell’uomo.

“Non tutti vogliono essere salvati”

La trama si sviluppa sul sovraccarico emotivo, tale, da togliere il respiro ed il sospiro, e insiste su un tema molto caro al regista: il libero arbitrio; quella lama a doppio taglio che concede una sovranità illusoria, ma lentamente, spinge verso l’oppressione e l’inquietudine.

La vita è intervallata da oscillazioni di bellezza e tormento; essa riserva sprazzi di inaspettata gioia e intollerabile tristezza, il tutto, rimesso all’inscalfibile equilibrio della libertà umana.

Nonostante la strada sia segnata, e il futuro già contraddistinto, c’è chi, inevitabilmente, non vuole prendere parte al gioco crudele della vita: “Non tutti vogliono essere salvati”. 

La scelta registica, ricaduta su un cast formidabile, rende il flusso della storia, emotivamente intenso e coinvolgente; da Toni Servillo a Margherita Buy, da Valerio Mastandrea a Sara Serraiocco, a Giorgio Tirabassi, Elena Lietti, Vittoria Puccini a Gabriele Cristini.

Attori/personaggi in grado di trasmettere, in modo ineccepibile, la ferocia dello smarrimento e l’invalidante irresolutezza delle scelte umane, che vanno al di là di qualsiasi presenza superiore ed extrasensoriale. 

In breve

Un film riuscito, nell’intimità e nel pudore delle paure, nella sofferenza corale dei protagonisti e della parte di pubblico che si riconosce in essa. Paolo Genovese non racconta della vita o della morte, ma della ideale possibilità di guardarle entrambe negli occhi. Un percorso analitico dell’anima, che si fa spazio, tra le intercapedini dei ricordi pungenti del passato, le immagini ignote del futuro e la decisone ultima, sulla faticosa esistenza umana dello stare al mondo.

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Annamaria Martinisi
Sono il risultato di un incastro perfetto tra la razionalità della Legge e la creatività del cinema e la letteratura. La mia seconda vita è iniziata dopo aver visto, per la prima volta, “Vertigo” di Hitchcock e dopo aver letto “Le avventure di Tom Sawyer” di Mark Twain. Mi nutro di conoscenza, tramite una costante curiosità verso qualunque cosa ed il miglior modo per condividerla con gli altri è la scrittura, l’unico strumento grazie al quale mi sento sempre nel posto giusto al momento giusto.

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