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Sandra Oh in La direttrice (The Chair) - Netflix

La direttrice è la nuova serie Netflix con Sandra Oh, creata da Amanda Peet e Annie Julia Wyman. Segue le vicende della professoressa Ji-Yoon Kim, neo eletta direttrice del Dipartimento di Lettere di una prestigiosa università. È la prima donna (non bianca) a ricoprire l’incarico e per questo sente su di sé le pressioni della discriminazione di genere, oltre che la preoccupazione per un incarico già fallito in partenza, in un Dipartimento in crisi. A renderle il lavoro impossibile però è l’imprevisto incidente diplomatico di Bill Dobson, suo predecessore nonché amore platonico, coinvolto in uno scandalo dai caratteri politici all’università. Purtroppo è proprio questa sottotrama a fagocitare tutto il resto, rendendo La direttrice una bellissima occasione non pienamente sfruttata. Vediamo però quali sono gli elementi principali e i loro risvolti positivi e negativi.

Sandra Oh

Il più evidente punto di forza de La direttrice è proprio lei, la protagonista interpretata da Sandra Oh. Un ruolo ancora inedito per l’attrice, o comunque molto diversa dalla Cristina Yang di Grey’s Anatomy o Eve in Killing Eve. Un personaggio stratificato, forse l’unico dell’intera serie, e quindi credibilmente complesso. È evidente che la serie cerchi di mostrare tanto l’aspetto pubblico quanto quello privato della Direttrice Ji-Yoon Kim. Nell’economia del racconto, però, sceglie di sacrificare spesso i momenti più intimi. Una scelta inusuale, ma apprezzabile, votata alla rappresentazione della protagonista in una situazione di potere e di lotta in un ambiente dominato convenzionalmente dal privilegio bianco e maschile.

Il risultato è un personaggio tormentato che, pur facendoci entrare nelle mura di casa, non si apre mai totalmente con noi. Ji-Yoon rimane a distanza. Non ci permette per esempio di scavare a fondo nel dolore che prova quando la figlia adottiva la rifiuta, né va in fondo allo scontro culturale che l’adozione produce. Lei, coreana, con una bambina di origine sudamericana. Sarebbe anche impossibile, in ogni caso, riuscire a raccontare tutto in soli sei episodi da trenta minuti. L’arco narrativo è troppo breve per perdere di vista il vero punto focale della serie. È lecito però chiedersi, allora, quale sarebbe questo punto?

The Chair e le dinamiche di potere

Il fine ultimo della serie è proprio nel titolo originale, The Chair: la sedia (leggi anche trono), il simbolo del potere che poi nella versione italiana diventa ancora più specifico perché declinato al femminile. Poiché è proprio il potere, di pari passo con il privilegio, a essere il vero protagonista. Ji-Yoon Kim sin dall’inizio mette in dubbio la sua nuova posizione di Dirigente, non perché non abbia fiducia in sé, ma perché sa che qualsiasi fallimento le sarà attribuito perché donna. Il doppio peso della responsabilità vera e proprio e del giudizio altrui rendono il compito insopportabile. E poco importa se l’Università è popolata da macchiette comiche che strappano più di un sorriso a ogni episodio: la denuncia rimane forte e chiara.

Sandra Oh, Nana Mensah e Holland Taylor
Sandra Oh, Nana Mensah e Holland Taylor

Pur non approfondendo le storyline secondarie come avrebbe potuto, La direttrice, racconta molto bene la bolla del College attraverso altri due personaggi femminili. Si tratta chiaramente di Joan (Holland Taylor) e Yazmin (Nana Mensah). La prima è una professoressa della Vecchia Guardia e, come gli altri ormai prossimi alla pensione, è fossilizzata nella sua idea di insegnamento, che non evolve nonostante le generazioni mutino di fronte a lei. È la Professoressa che non vorremmo avere, eppure come personaggio è adorabile, divertente e riserva le maggiori sorprese nella serie.

Al contrario, Yazmin è la dottoranda, giovane, brillante, attenta a comprendere l’identità della sua classe di studenti. E no, non parliamo del Professor Keating de L’attimo fuggente, è una figura intrinsecamente legata alla nostra realtà e al risveglio delle diverse sensibilità sociali e culturali in ogni ambito della vita pubblica. Yazmin è infatti l’americanista, ed è l’unica americanista nera dell’università. Su di lei si potrebbe scrivere un’intera altra serie, eppure si preferisce mostrare solo come il Sistema tenga in pugno la sua carriera.

È un difetto difficilmente perdonabile a La direttrice, che preferisce invece infossare la trama in un personaggio stereotipato come Bill (Jay Duplass) e sull’equivoco che lui trasforma in vero e proprio suicidio professionale.

Jay Duplass e Sandra Oh
Jay Duplass e Sandra Oh

Questa prima stagione de La direttrice, in altri termini, sembra più che altro un esperimento introduttivo, per tastare il terreno e capire se un prodotto del genere si può sviluppare meglio. Certo, sarebbe stato meglio correre qualche rischio in più, ma se il progetto dovesse continuare, partirebbe comunque da una buona base.

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