Roberta Torre ritorna dopo 5 anni da Riccardo va all’inferno (2017) con Le Favolose, un film distribuito da Europictures e presentato a Venezia 79 il 1° settembre alle Giornate degli Autori. Sarà visibile in sala dal 5 al 7 settembre
Non è possibile citare la vibrazione di un “fuoco”, ma la si può descrivere ed è esattamente ciò che fa Roberta Torre con le protagoniste del suo nuovo film.
Il documentario si muove tra realtà e finzione. Racconta esperienze di vita vere o verosimili di sette amiche transgender e dei loro fuochi. Fiamme che divampano nel loro costante desiderio di libertà. Al tempo stesso usa un elemento di fantasia per introdurre un tema poco dibattuto nel contesto pubblico: il riconoscimento della libertà delle persone trans al momento della morte.
La narrazione di Torre si ricama delicatamente su un punto focale: il nido, il rifugio, la casa dove “le Favolose” si incontrano da ragazze e dove possono sentirsi felici e spensierate. Un luogo nel quale poter manifestare il loro “Io” primordiale senza timore e pregiudizio. E ancora, un luogo di appartenenza spirituale, prima che fisica, capace di infondere loro sicurezza e protezione. Una comfort zone, una condizione di beatitudine, totalmente separata dalla realtà e da una società che senza indugio punta il dito, giudica e ferisce.
E fra i tesori di questo rifugio c’è un vecchio armadio, memoria allegorica ricolma di vestiti, che per le sette donne profumano di sogni e di speranze e “un’astronave” verso altri mondi.
La regia tocca con semplicità e ironia l’immensa dimensione esteriore e interiore del mondo transgender. Ci riesce con fare disinvolto, leggero e intelligente, senza mai cavalcare l’onda della banale retorica e dell’ambiguo pietismo.
Acqua e aria. Elementi di Madre Terra, l’unica che accetta incondizionatamente le sue creature
La macchina da presa lavora su una continua alternanza di immagini che rimandano al passato senza mai abbandonare il presente, stimolando nello spettatore tenerezza e disincanto. Ciò che viene testimoniato dalle sette Favolose ha del torbido, dell’abominevole. Dolore, abusi, l’innaturale mancanza di affetto genitoriale, che lasciano un gusto amaro drammaticamente potente.
La scena iniziale e quella finale del film propongono una riflessione molto sensibile, mani che volteggiano nell’aria e piedi che si dimenano nell’acqua, offrono una raffinata forma di amore e di accettazione universale. Quell’universalità che solo Madre Terra, con i suoi elementi, è in grado di infondere. Una linfa terrena necessaria alle protagoniste, per riuscire a sopravvivere nel pieno vortice dell’incomprensione e della miserabilità dell’uomo.
“Alla morte bisogna arrivarci da vivi”
I temi che ricorrono nel lungometraggio sono il ricordo, il tempo e la morte.
Tempo per crearsi, plasmarsi, definirsi e amarsi, per raggiungere lo scalino più alto dell’esistenza: la libertà. E poi vi è il ricordo che può distruggere, annientare, ma può anche accarezzare e salvare dalle vicissitudini e dagli inferni del passato.
Infine vi è la morte. “Ma alla morte bisogna arrivarci da vivi”, afferma una delle Favolose.
Una frase introspettiva e carica di pathos. Un concetto quasi cartesiano, una rielaborazione odierna del “cogito ergo sum”: “penso quindi sono”, “sono libera quindi vivo”.
Una donna trans può vivere davvero, solo se lo fa da donna libera, mostrandosi al mondo senza sentirsi sbagliata o diversa. Dover interpretare, sul palcoscenico della vita, un’identità non propria, equivale a morire.
La vestizione di Antonia: il suo secondo battesimo
È con la scena più struggente del film, che Roberta Torre ci regala una delle emozioni più intense. (SPOILER)
Tra le sette favolose – cinque delle quali si incontrano di nuovo nella casa – vi è Antonia, morta molti anni prima del loro ritrovo, a causa di un uomo violento che le ha tagliato la gola. Antonia muore due volte. La prima a causa dell’episodio crudele e l’altra nel momento in cui la famiglia decide di seppellirla con abiti maschili, controvertendo il suo desiderio e la sua identità.
Quei vestiti rappresentano un blocco, un’impossibilità di poter davvero accedere all’aldilà. Una sorta di immagine dantesca, nella quale i bambini che non hanno ricevuto il battesimo, vengono privati delle porte del paradiso, rimanendo intrappolati in modo perpetuo nel limbo.
Le amiche decidono, mediante una seduta spiritica di rievocare Antonia dall’aldilà, per poterla rivedere ancora un’ultima volta. Un momento forte ed elegiaco. Come un vero e proprio rito di vestizione, paragonabile a un passaggio di purificazione, al primo sacramento d’innanzi alla fonte battesimale.
La “favolosa” appare alle sue amiche, ancora con la giacca maschile, la camicia e la cravatta, ma che ben presto spariranno dal suo corpo.
Con cura, le sei donne, spogliano e rivestono la loro Antonia, con gli abiti che appartengono alla sua vera essenza, alla sua personalità più recondita. Tacco vertiginoso, calze a rete e tubino aderente.
E con questa danza catartica, che rievoca un secondo battesimo, ora lei è pronta ad andare, serena e libera.
Forse è proprio questo il messaggio più profondo che emerge dalle testimonianze che ci vengono donate dalle Favolose, insieme alla regista. Non vi è vita senza la libertà. Sentirsi liberi è lo stato d’animo che delinea il confine sottile tra il vivere ed il sopravvivere. Tra il dramma e lo spettacolo.
E nonostante tutto, le Favolose, hanno scelto di vivere lo spettacolo.
Le Favolose è un soggetto originale di Roberta Torre, ispirato agli scritti di Porpora Marcasciano, una delle protagoniste e storica attivista del Movimento Identità Trans, di cui è Presidente e fondatrice. Accanto a lei nel film, Nicole De Leo, Sofia Mehiel, Veet Sandeh, Mizia Ciulini, Massimina Lizzeri, Mina Serrano, Antonia Iaia. Dal 5 al 7 settembre in sala.
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