Men, A24, Vertice 360
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Da oggi in sala, Men, scritto e diretto da Alex Garland, è un film che dietro le forme dell’horror veicola un discorso più ampio, incredibilmente attuale, riducendolo però nel suo insieme a una lettura retorica attraverso mostruosità che perdono lentamente il loro potere spaventoso.

Sinossi

Harper Marlowe (Jessie Buckley) vuole dimenticare l’evento traumatico che continua a tormentarla: suo marito, James, è morto in seguito a quello che sembrerebbe un apparente suicidio. Fugge quindi da Londra per rilassarsi in una casa in affitto nel piccolo villaggio di Cotson. La villetta è splendida, vive di una bellezza antica che si respira nei colori delle mura e nell’arredamento tipico delle vecchie case di campagna.

Ad accoglierla c’è il proprietario, Geoffrey (Rory Kinnear), un individuo gentile e abbastanza peculiare che le strappa un sorriso, quando si ritroverà a descriverlo in videochiamata alla sua amica Riley (Gayle Rankin), preoccupata che la donna si trovi a quasi quattro ore di macchina dalla città totalmente isolata.

Cotson non ha molto da offrire: un bosco vicino a una ferrovia abbandonata, un pub, una chiesa e pochissimi abitanti. Ma è tutto ciò che Harper cerca e dal primo giorno perlustra la zona perdendosi nella natura, sotto alla pioggia, tra gli alberi fitti. Presto però si accorgerà che qualcuno la sta seguendo, un uomo, così simile a qualcuno che ha già incontrato. Così la distorsione della realtà inizia a trasformare quella fuga terapeutica.

Men, A24, Vertice 360

SPOILER

Quella prima “attenzione” non richiesta apre un susseguirsi di piccoli incidenti e sgradevoli confronti. L’uomo (nudo) che la stalkera proverà a entrare nella casa e sarà solo la prima delle intrusioni che Harper dovrà subire, effettive e psicologiche. Allo stesso modo il prete di Cotson tenterà di instillarle nella mente che il suicidio di suo marito potrebbe essere una conseguenza del suo comportamento. I continui flashback dell’accaduto rivelano che che i due erano già in crisi e che James, manipolandola, sfruttava la minaccia del suicidio per non farsi lasciare. Tutto prima di tirarle un pugno e farsi sbattere fuori di casa.

In più, a Cotson, a parte una poliziotta che tende a minimizzare l’accaduto dell’intruso in casa, ci sono solo uomini, tutti simili in modo disturbante. Tutti convinti che Harper stia facendo un po’ troppo rumore per nulla, dopotutto non è (ancora) successo niente di irreparabile.

L’approccio di Garland

Scandito da ispirazioni folkloristiche e religiose, Men è il racconto di una relazione tossica, consumata nella realtà tangibile di un appartamento londinese e poi reiterata aggressivamente nella memoria di Harper, che scappa dalla casa che condivideva con il suo compagno per una vacanza di due settimane nella campagna inglese. L’elaborazione di quel trauma avviene lentamente trascinandola in un incubo a occhi aperti dove diventa preda, oggetto del desiderio, entità subalterna, di una schiera di uomini, entità traslate dall’uomo dei suoi ricordi, il marito suicida.

L’approccio di Garland è una grande metafora orrorifica che spiega in maniera troppo retorica la contrapposizione mostrata. La femminilità, esausta e annichilita, cerca di ritrovare pace nell’ambiente naturale, luogo per eccellenza legato alla natura della donna, della madre. Intanto il maschile, fagocitante e spaventosamente insicuro, cerca di attrarla, manipolarla e distruggerla, da predatore.

Con evidenti ispirazioni al corpo disfatto e multiforme di David Cronenberg e alla scrittura stratificata di Charlie Kaufman (non solo la protagonista infatti mi ha ricordato le atmosfere di I’m Thinking of Ending Things), Alex Garland crea immagini incredibilmente appaganti ma poi si perde facendo sì che una narrazione promettente si riduca ad un contrasto bidimensionale.

Men, A24, Vertice 360

In breve

La retorica di Men ne preclude purtroppo un successo a tutto tondo. Il suo essere così grottescamente riuscito non è abbastanza per arrivare fino alla fine: attraversiamo chiaramente il livello dell’elaborazione del dramma personale di Harper (una bravissima Jessie Buckley), ma sfioriamo appena quello del rifiuto della colpa.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.

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