Mission Impossible Dead Reckoning

Il 12 luglio esce nei cinema italiani la prima parte del capitolo finale della saga di Mission: Impossible, Dead Reckoning

Ironico, intrigante e intrattenente, tirando le somme delle imprese finora compiute da Ethan e soci, questo capitolo eleva l’azione ad arte visiva e riesce a farci assaporare un po’ di amarezza e malinconia in vista della seconda parte e del finale della loro storia.

Il cybernemico

Su un sottomarino russo, il Sevastopol, sono in corso i test per una cyberarma di proporzioni apocalittiche, ma il congegno è così potente da diventare rapidamente un essere senziente, noto come l’Entità, e rivolgersi contro i suoi stessi creatori. In grado di penetrare come una katana nel burro i firewall e i sistemi di sicurezza mondiali di ogni azienda o organizzazione, privata e pubblica, l’Entità diventa così l’arma con cui assicurarsi il dominio del mondo.

Comincia dunque una caccia su scala globale alle due metà di una chiave cruciforme che permette di accedere alla sala di controllo dell’Entità stessa. L’IMF manda in prima linea Ethan Hunt e i suoi fidi colleghi Benji Dunn (Simon Pegg) e Luther Stickwell (Ving Rhames), i quali si ritrovano coinvolti in un gioco di spie e interessi politici a cui partecipano decine di governi mondiali, compreso il loro. Per Hunt sarà anche l’occasione per confrontarsi con il suo doloroso passato e i lutti e gli errori che ha dovuto affrontare.

Un inizio difficile e un arrivo da sogno

Sembra il Mission: Impossible che più fatica a decollare, complice la necessità di spiegare in fretta la trama autoconclusiva del capitolo e di svelare però anche il passato del nostro amato protagonista. Eppure dopo la prima mezz’ora si raggiungono i fasti gloriosi di Protocollo Fantasma, Rogue Nation e Fallout.

Tuttavia la regia inciampa nei dialoghi, giustapponendo ai campi e ai controcampi delle inquadrature di tre quarti su uno dei due parlanti che ci lasciano alquanto confusi.

Questo espediente più che un ostacolo al seguire i discorsi è un vero e proprio fastidio visivo.

Ma durante l’azione la regia vola alta e maestosa, capace di regalarci delle sequenze memorabili e mozzafiato, e a poco a poco questo difetto iniziale sembra sparire grazie alla magia del cinema.

L’Italia torna ancora a brillare in un film d’azione. Tra Roma e Venezia possiamo godere di un affresco realistico ed emozionante del nostro paese, come successe in John Wick – Capitolo 2 (2017), in Spectre (2015) e No Time To Die (2021); o, per i più nostalgici, in Un colpo all’italiana (1969).

Dall’inseguimento autostradale a Roma, alla sequenza di lancio in moto sulla montagna, che infesta i social da quasi sei mesi, tutta le scene d’azione risplendono di una grazia feroce e inebriante.

L’eroe credibile

Ethan Hunt è un uomo con un notevole bagaglio emotivo, impedimento alla sua vita professionale e ancora della sua natura umana. La sua vulnerabilità ne fa un eroe completo, sofferente e sconfitto, assolutamente non invincibile e che non può contare che su se stesso anche quando i nemici sembrano inscalfibili.

Essendo un capitolo finale preparatevi a dire addio ad alcuni amati personaggi della saga, cosa che potrebbe succedere anche nella seconda parte, e quindi (spoiler!) preparatevi a vedere il miglior agente dell’IMF crollare per il dolore e la responsabilità morale del suo operato.

In tutti i film Ethan si è messo moralmente in gioco, scegliendo qualche volta la sua squadra a scapito del mondo intero, ma questa è la sua più grande forza, come gli disse il segretario Hunley (Alec Baldwin) in Fallout. È un eroe credibile, imperfetto e abituato alla sconfitta, perché ogni vittoria risulta comunque profondamente amara, a lui come a noi, e quindi realistica.

Ethan Hunt è fallace e dubbioso, sempre in procinto di restare da solo contro il mondo, qualche volta per colpa del suo carattere e altre per colpa dei piani politici che lo risucchiano, e sempre quando è a un passo dalla verità e da una potenziale vittoria, ma proprio per questo risulta molto più un eroe umano piuttosto che mitico.

Dead Reckoning: l’alba della vera azione

Possiamo affermare con convinzione negli ultimi 13 anni il cinema d’azione ha goduto di una vera e propria rinascita a livello di pubblico e critica. Nel 2011 Mission: Impossible – Protocollo Fantasma rilanciò in grande stile la saga omonima, nel 2012 Skyfall fece raggiungere alla saga dello 007 di Daniel Craig, e forse di Bond in generale, un apice incontrastato, nel 2014 John Wick inaugurò un nuovo modo di fare cinema d’azione, e nel 2015 Mad Max: Fury Road divenne probabilmente il miglior film d’azione mai fatto.

E da lì questi grandi franchise d’azione si sono evoluti costantemente, gareggiando l’uno contro l’altro per portare questo genere sempre più in alto.

Menziono soltanto, in questo panorama, l’operato dei tre cavalieri del cinema d’azione moderno, Chad Stahelski, Derek Kolstad, David Leitch, responsabili, singolarmente e insieme, di film come Atomica bionda (2017), Nobody (2021), Bullet Train (2022).

O la casa di produzione 87 North Productions, che ci ha regalato Violent Night lo scorso dicembre.

Oggi, con le saghe dello 007 di Craig e quella di John Wick concluse, anche Mission Impossible si avvia ad una conclusione magnifica.

Tom Cruise con il suo precedente Top Gun: Maverick ha creato una base di fiducia e gradimento mondiale. Non dubito che il re dell’azione di Hollywood la userà per condurre le masse in sala a vedere il finale della sua saga più nota. E chissà cosa ci regalerà la parte 2.

In breve

Immaginate di sedervi in sala scettico, per tutta una serie di motivi, e alzarvi con un desiderio folle di voler recuperare tutta la saga. Al netto di molti difetti, e di molte aperte citazioni, il film non galleggia, naviga sopra tutti i problemi che lo spettatore può adocchiare e conduce in porto un film d’azione incredibile. È pervasivo, magnetico, un film di adrenalina e fascino puri.

Se volete stupirvi di come Tom Cruise sia a 60 anni ancora il re indiscusso dei film d’azione, andate in sala e beatevi gli occhi della prima parte del finale della saga dei Mission Impossible.

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Francesco Gianfelici
Classe 1999, e perennemente alla ricerca di storie. Mi muovo dalla musica al cinema, dal fumetto alla pittura, dalla letteratura al teatro. Nessun pregiudizio, nessun genere; le cose o piacciono o non piacciono, ma l’importante è farle. Da che sognavo di fare il regista sono finito invischiato in Lettere Moderne. Appartengo alla stirpe di quelli che scrivono sui taccuini, di quelli che si riempiono di idee in ogni momento e non vedono l’ora di scriverle, di quelli che sono ricettivi ad ogni nome che non conoscono e studiano, cercano, e non smettono di sognare.

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