Mitski
Mitski - David Lee/Creative Commons

La cantautrice del dolore torna con un album dal sapore dolceamaro, che continuamente illude e disillude, abbraccia e respinge, infila la lama e mette un cerotto. Ecco perché ad ascoltare The land is inhospitable and so are we di ci si sente così persi, fragili, spaesati. La “terra inospitale” è un mondo che preme sulle spalle, ci schiaccia contro pareti trasparenti e ci mette alla gogna, ma è anche la landa desolata dell’anima. Siamo noi, infatti, ad essere inospitali tanto quanto il luogo che ci ospita, in cui viviamo, soffriamo, ci facciamo del male, poi speriamo in qualcosa di nuovo, ci illudiamo e chissà cosa accadrà, poi.

Mitski trascina in un vortice danzante che continuamente cambia colore, un valzer disperato che ci costringe a metterci di fronte al non detto, a quello che abbiamo nascosto a forza dentro e che, la disarmante nudità della sua poetica ci costringe a tirare fuori. Ascoltare Mitski significa guardarsi allo specchio, riconoscersi uguali a quello che lei, vomitando se stessa in musica, descrive. 

La vita secondo Mitski 

L’evoluzione degli album di questa delicatissima, elegante, sofferente cantautrice nippo-americana, segnano anche le fasi della sua vita. Una finestra sull’interiorità di una giovane donna – e artista – che è cresciuta, ha lasciato indietro pezzi di vita e persone, ha desiderato morire e poi vivere di nuovo, è affogata nella solitudine ed è rinata dalla rabbia. Mitski siamo noi. La paura, la confusione, l’ansia, il dramma esistenziale dei vent’anni di Retired from sad, new career in business, la presa di coscienza dei tarli della mente, la fine delle illusioni adolescenziali, la solitudine desolante di Bury me at makeout creek e Puberty 2.

Oggi Mitski ha trent’anni e si sente. È diventata adulta, volente o nolente. Si è guardata ancora dentro, ci ha trovato ancora dolore, ancora irrisolti, ma anche nuove consapevolezze, rassegnazioni e, persino, speranze. Si conosce meglio e noi conosciamo meglio lei. 

The land is inhospitable and so are we, musicalmente parlando, è il suo lavoro più maturo, più curato dal punto di vista della composizione, più raffinato e anche più omogeneo. Il gusto folk rimane come linea diretta di tutto l’album, che resta coeso e coerente fino alla fine. 

Forse manca di quel graffio emotivo tipico dei lavori precedenti di Mitski, non ci sono sbavature che strabordano dalla delicatezza e dalla rarefazione dei brani. Certo è che erano proprio quelle sbavature, quei fendenti inaspettati, quelle pugnalate alle spalle, a rendere unico ogni suo lavoro in studio. Ma fasi della vita diverse richiamano diversi approcci e diverse reazioni. Forse, passati i tormenti dilanianti, estremi, vulcanici dei vent’anni, abbiamo anche noi – come Mitski – bisogno di qualcuno che ci culli e ci dica che non andrà tutto bene per niente, ma che ci possiamo provare lo stesso. 

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Clarissa Missarelli
Da sempre affascinata e appassionata di cultura pop, sfrutto la mia laurea in DAMS e la mia formazione musicale per far accapponare la pelle a chi non vede l'evidente somiglianza tra Sfera Ebbasta e Fabrizio De André. Guardo, ascolto e leggo di giorno e scrivo di notte, se ho qualcosa da dire. Per conoscermi meglio, l'importante è tenere a mente due cose: la mia parte preferita della giornata è l'aperitivo e la settimana di Sanremo è più importante del mio compleanno.

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