Piggy

Piggy, titolo originale Cerdita, è il primo film della regista spagnola Carlota Pereda.

Basato su un cortometraggio omonimo del 2019, è un horror slasher classico di vendetta e denuncia sociale, visivamente superbo, che strizza l’occhio a molti classici del genere.

La realtà assolata della campagna

Il film è un’analisi sferzante delle dinamiche sociali dei piccoli paesi, dell’emarginazione e del bullismo: recupera quindi la grande tradizione del genere horror di usare la paura, la tensione e l’estremizzazione morale per denunciare una condizione sociale.

In un paesino dell’Estremadura la giovane Sara (Laura Galán) è un’adolescente obesa vessata da alcune sua coetanee e da una famiglia disfunzionale. La sua vita verrà scossa dall’arrivo di un killer (Richard Holmes) che comincerà a tessere una rete di omicidi intorno a lei.

La piccola realtà rurale è ormai un classico del genere, un luogo universale di emarginazione, diffidenza e sofferenza psicologica, tutte abilmente coperte da un’illusoria rispettabilità sociale.

Sara è il tipico recluso che osserva con malumore il mondo da fuori la sua finestra, in questo caso il cellulare, vessata dall’opprimente Asun, sua madre (una incredibile Carmen Machi), e dal disinteressato e stupido Juan Carlos, suo padre (Chema del Barco), che sembra la parodia stereotipata di un padre americano.

Tuttavia in questa realtà familiare e nel sostrato sociale farcito dei pettegolezzi delle vecchie e dall’irresistibile voglia che tutti hanno di accusarsi a vicenda e immischiarsi negli affari altrui, scorre una vena grottesca che dopo un po’ esplode e tinge ogni scena di disgusto e risibilità. 

Strizzando duemila occhi

La regia avvolgente e incalzante, unita ad una fotografia vivida che restituisce sia la vita quotidiana che l’orrore che si annida nei boschi e nell’oscurità, contribuisce a rendere il film godibile e interessante.

Lo slasher si consuma con arte e parsimonia, lasciando che la nostra immaginazione galoppi libera e spaventata invece di darci un’immagine da cui restare scossi.

La vendetta e il finale si svolgono in maniera quasi istintiva e indecisa; in questo modo non abbiamo, volutamente, una vera risoluzione sociale e psicologica della protagonista.

Quello che però scalda il cuore sono le numerose citazioni visive ad una pletora di grandi film del passato.

C’è tanto amore per il cinema grottesco e trasgressivo di John Waters, sopratutto Hairspray (1988). Numerosi poi sono i rimandi a Carrie (1976) di Brian De Palma e a Non Aprite quella porta (1974) di Tobe Hopper.

Anche l’arrivo di uno sconosciuto in macchina che massacra un gruppo di ragazze potrebbe essere un’eco di A prova di Morte (2007) di Quentin Tarantino.

In breve

Sono ormai ben conscio che quasi tutti i film horror che vedo finiscono tra le risate. Forse perché sono un fifone incallito e nel riso trovo un gesto apotropaico da cui trarre sicurezza. Eppure qualche volta ho distolto gli occhi per qualche sequenza particolarmente gore, ma comunque è il grottesco a imperare e a costringerci a ridere con un gusto amaro in bocca.

Un buon film con cui passare una piacevole serata.

Continuate a seguire su FRAMED per altre recensioni. Siamo anche su InstagramFacebook e Telegram!

Francesco Gianfelici
Classe 1999, e perennemente alla ricerca di storie. Mi muovo dalla musica al cinema, dal fumetto alla pittura, dalla letteratura al teatro. Nessun pregiudizio, nessun genere; le cose o piacciono o non piacciono, ma l’importante è farle. Da che sognavo di fare il regista sono finito invischiato in Lettere Moderne. Appartengo alla stirpe di quelli che scrivono sui taccuini, di quelli che si riempiono di idee in ogni momento e non vedono l’ora di scriverle, di quelli che sono ricettivi ad ogni nome che non conoscono e studiano, cercano, e non smettono di sognare.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui