Debutta il 16 novembre nei cinema italiani un film a lungo atteso: Thanksgiving di Eli Roth. Ripreso da un finto trailer del progetto cinematografico “bicefalo” Grindhouse del 2007, è un horror classico slasher, che però rilancia sapientemente anche le denunce sociali di quei film. Nel cast Patrick Dempsey, Addison Rae, Milo Manheim, Jalen Thomas Brooks, Nell Verlaque, Rick Hoffman e Gina Gershon.
Serviamo spremuta di corpi
Nella ridente Plymouth, il giorno del ringraziamento significa anche l’inizio degli sconti del Black Friday nel supermercato cittadino; ma l’isteria dei consumi porterà grandi sofferenze quella notte. Un anno dopo il dramma ritorna: è in quel caos mortifero che si è consumato nel centro commerciale che dobbiamo cercare le tracce del nuovo killer che sta mietendo vittime e terrorizzando gli abitanti.
Pur seguendo noi i panni di Jessica (Nell Verlaque) e del suo gruppo di amici teenager, entriamo in contatto con un microcosmo rurale ma anche contemporaneo, profondamente amalgamato nella modernità: è questo letale mix ad essere la ricetta primaria di uno slasher con i fiocchi.
Le trovate più strabilianti si ricollegano direttamente a quel falso trailer di 16 anni fa, ma il plot narrativo degli horror classici degli anni ’80 fa battere il cuore (e i denti dalle risate). Soprattutto si avverte la forte eco di una gemma sottovalutata come Natale di sangue (Silent Night, Deadly Night, 1984).
Classico: stantio o meglio del moderno?
L’Horror è un genere che si radica nella società che lo produce: le paure del 1930 non sono più così terrificanti oggi, e certe minacce degli anni ‘80 oggi sono ampiamente sdoganate e commercializzate.
Qui entra in gioco il film di Roth. Il pubblico lo troverà spassoso, a patto che conosca l’origine e anche l’intento di quest’opera, ma soprattutto lo troverà confortante. L’orrore è in realtà un disgusto, un’ossessione della mutilazione e del corpo martoriato che però non scuote veramente lo spettatore.
A tutti gli effetti il film è ampiamente sdoganato sul piano orrorifico puro, ma si attesta degnamente sul piano sociale e i temi trattati, soprattutto il fascino mediatico e virale dei video di violenza, sono purtroppo di un’attualità vergognosa.
Eppure c’è una carica confortante in questo schema riconoscibile, la rinuncia ad una pretesa di miglioramento o superamento del classico, di rottura con il classico, in favore di una ripresa totale del modello. Tutto ciò porta portano Thanksgiving a costituire una satira della società e, nel contempo, dello stesso film dell’orrore.
In breve
Volete tornare sulla giostra di Grindhouse? Sul treno della morte che si allunga e si costruisce film dopo film? Allora andate a vederlo. E nel frattempo scrivete alle case di produzione che ora tocca a Werewolf Women of the SS di Rob Zombie.