"audrey hepburn" by fred baby su licenza CC BY-NC-SA 2.0
Audrey Hepburn - Photograph by Jack Cardiff, 1956. by fred baby su licenza CC BY-NC-SA 2.0

Il 4 maggio 1929 nasceva Audrey Hepburn: se ancora oggi è un’icona di stile il merito è anche del lavoro dei costumisti che hanno saputo tradurre in forme, colori e accessori la personalità dell’attrice. La ricordiamo con quattro costumi (anzi cinque), realizzati per lei da altrettanti costumisti.

VACANZE ROMANE (1953) – Edith Head

Una ragazzina su una Vespa, entusiasta della vita e con uno sguardo di stupore verso il mondo. È così che Audrey Hepburn diventa nota al grande pubblico, e vince l’Oscar. I costumi sono firmati da Edith Head, grande costumista hollywoodiana, vincitrice di ben 8 premi oscar, tra cui uno proprio per Vacanze Romane. Con una semplice gonna a ruota, una camicetta a mezze maniche e un fazzoletto al collo riuscì a rendere quello stile acqua e sapone che diventerà poi, seppur declinato, una cifra stilista dell’attrice. Edith Head vincerà poi l’oscar per Sabrina (di Billy Wilder, 1954) sebbene il guardaroba della Hepburn sarà firmato Givenchy.

CREDITS: A Paramount Picture, William Wyler’s Production

MY FAIR LADY (1964) – Cecil Beaton

Tra nastri, fiori, maxi fiocchi straborda tutta l’esuberanza e la vitalità di Eliza, una giovane fioraia che fatica a rimanere imbrigliata nell’etichetta aristocratica inglese. I costumi sono frutto della mente brillante di Cecil Beaton, costumista quasi per hobby (hobby che però lo porta a vincere due Oscar!) ma fotografo di vocazione. Dopo un periodo florido nel gruppo avanguardistico Bright Young Things, dove ha modo di sperimentare con gli scatti in accostamenti ironici e curiosi si afferma come fotografo delle star (immortalando addirittura Sua Maestà). Il carattere irriverente di Beaton lo si ritrova proprio nell’iconico costume di Eliza nella scena ambientata ad Ascot: alcuni elementi storici vengono rimescolati con ironia e libertà nelle forme e sfociano in un costume eccessivo, ma che allo stesso tempo rimane indimenticabile e destinato ad un altro Academy Award.

CREDITS: Warner Bros.

COME RUBARE UN MILIONE DI DOLLARI E VIVERE FELICI (1966) – Hubert de Givenchy

Outfit total white con un singolare cappello a elmetto e maxi occhiali (mentre sfreccia su una
macchinina rosso fuoco). Abitino total black di pizzo (e mascherina abbinata) mentre commissiona un furto a un ladro (che in realtà è un detective). Lo stile di Hubert de Givenchy, che firma i costumi, si adatta perfettamente alla Audrey degli anni ‘60. Il sodalizio con l’attrice nasce ai tempi di Sabrina (per il quale però Givenchy non viene accreditato) e sarà fondamentale per consolidare l’interprete come icona di un nuovo tipo di femminile. Nel film colori accesi e cappelli sono ben ponderati da tagli lineari e pratici. Il gusto di Givenchy è indubbiamente elegante e raffinato ma allo stesso tempo “leggero”, ideale per chi è capace di non prendersi troppo sul serio, come la stessa Hepburn.

ALWAYS (1989) – Ellen Mirojnick

Un semplice maglione di lana bianca, caldo come un abbraccio a suggellare il testamento cinematografico di Audrey. La Hepburn è chiamata da Spielberg per una piccola parte, quasi una comparsa, un angelo che deve aiutare un’anima ad accettare la morte e lasciare andare quello che più aveva caro. La costumista Ellen Mirojnick (Basic Instinct, 1992) sceglie per lei un capo semplicissimo, un morbido maglione di lana. Un capo discreto ma che ci dice molto del personaggio di Hap (e, più intimamente dell’attrice stessa). La discrezione con cui Audrey, in quegli anni, si allontana dalle scene per impegnarsi in campo umanitario. Quel ruolo minore rappresenta a pieno Audrey Hepurn degli ultimi anni: una donna che sa ascoltare ed aiutare.

CREDITS: Universal Pictures

Se è vero che costumi e costumisti hanno contribuito a creare l’icona di Audrey Hepburn, è anche vero che personalità come la sua riescono a rendere iconico il più semplice degli abiti, che sia un maglione, una camicia da uomo o delle normali ballerine.

L’immagine in copertina è uno scatto di Jack Cardiff, 1956, fred baby, su licenza CC BY-NC-SA 2.0

Roberto Boldini
Sono un ragazzo di campagna con la testa tra le nuvole immerso tra mille progetti, se fossi una canzone sarei Confessioni di un malandrino di Branduardi. Dopo la laurea in Scenografia a Brera ho intrapreso un corso di specializzazione presso i laboratori della Scala. Quello che più mi piace è raccontare punti di vista: lo faccio disegnando, scrivendo, progettando. Più che le storie mi attraggono le persone, la loro psicologia, come vengono resi sullo schermo o su un palco il loro dramma interiore e la loro personalità (fantasticando su come le renderei io).