Mandrake, Febbre da cavallo, Gigi Proietti - Credits: web

Abbiamo voluto dedicare una settimana al ricordo di Gigi Proietti, per omaggiare il suo grande contributo al teatro e allo spettacolo in Italia. Vogliamo però concludere questo percorso con un ruolo che lo lega profondamente e in maniera specifica alla sua Roma. Parliamo di Bruno Fioretti, Mandrake, in Febbre da cavallo.

Innanzitutto Febbre da cavallo (1976) è un pezzo di storia del cinema italiano. Basta ricordare chi l’ha scritto e diretto per inquadrarlo subito nella scia di una certa commedia nostrana: Stefano Vanzina, meglio noto come Steno. Con i suoi personaggi un po’ scapestrati e truffaldini, il film cerca di raccontare un (arche)tipo di uomo romano, abile nel destreggiarsi, nell’arraggiarsi e nel salvarsi attraverso il proprio umorismo. E dico questo da figlia adottiva di Roma, perché forse il non appartenere pienamente a questa città mi fa notare aspetti in cui non mi riconosco ma in cui vedo riflesse, anche solo indirettamente, molte delle persone che ho incontrato negli anni.

Mandrake, anima di Febbre da cavallo

Bruno Fioretti detto Mandrake, prima ancora della sua grande entrata in scena, si presenta a noi spettatori attraverso la voce. È una voce che proviene da un altro tempo e da un altro spazio, verosimilmente un’aula di tribunale, come conferma il finale. Tecnicamente le immagini che vediamo, quindi, sono parte di un flashback e potremmo già qui immaginare il suo destino. Quasi ce ne dimentichiamo però, perché nel frattempo appare sullo schermo e catalizza la nostra attenzione. Non passa proprio inosservato Gigi Proietti in questa scena: alto, magnetico, ricoperto da una voluminosa pelliccia, in abito elegante. Il fascino e il sorriso da indossatore stridono però immediatamente con il linguaggio e lo spirito del personaggio.

Lassa perde pora mamma…

Una parte essenziale del film, infatti, è schiettezza popolana e popolare dei suoi personaggi. Un ritmo dei dialoghi serrato, un umorismo amaro, esilarante e pungente, che solo Roma può offrire senza sfociare apertamente in offese. Mandrake, in fondo, è “un gran figlio di…”, come spesso viene sottolineato, un furbo che arraffa quel che può. La sua ossessione per le corse di cavalli (inutile chiamarla ludopatia in un contesto che non approfondisce il concetto di dipendenza) è il pretesto attraverso cui osserviamo le sue relazioni con il mondo. Osserviamo quel desiderio famelico di divorare le cose prima che siano loro a divorare te. Il protagonista, descrivendo se stesso, Er Pomata e Felice, afferma di non essere altro che tre morti di fame. Ed è appunto quella sensazione di non aver mai avuto nulla in più da perdere a rendere Mandrake così tragi-comico e memorabile.

Gigi Proietti, Febbre da cavallo (1976) - credits: web
Gigi Proietti, Febbre da cavallo (1976) – credits: web

Febbre da cavallo è uno di quei film che avrebbero pure una morale da comunicare, nascosta sotto le battute al vetriolo, ma che al tempo stesso andrebbero visti per il puro piacere di farlo. La sottile critica che il film fa al suo stesso protagonista passa in secondo piano rispetto alla grandiosità del suo interprete. Perciò se avete voglia di riguardare un classico del repertorio di Gigi Proietti, Febbre da cavallo è sicuramente uno dei primi titoli che dovrebbero venirvi in mente. E ricordate sempre, solo questo è un fischio maschio senza raschio.

Ciao, Gigi!

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