Il Barbiere di Siviglia, Mario Martone, RaiPlay official
Il Barbiere di Siviglia, Mario Martone, RaiPlay official

La regia di Martone in linea con i tempi

Si è aperta sabato 5 dicembre la stagione dell’Opera di Roma con una nuova produzione del Barbiere di Siviglia, per la regia di Mario Martone. Una produzione ben studiata e ben riuscita, accolta molto positivamente dai 680.000 spettatori (tantissimi!) sintonizzati. C’è molto da dire (in positivo) su questa produzione: anzitutto la Rai torna a ribadire il suo ruolo culturale (in cui credeva anche il grande Paolo Grassi!) scegliendo Rai 3 per la messa in onda e non una rete secondaria (come generalmente avviene per le produzioni teatrali).

Già la scelta del titolo è azzeccata: si riapre il sipario dopo un periodo devastante per tutti, e ancora di più per il settore dello spettacolo. Il Barbiere di Siviglia è quindi un’opzione anzitutto allegra, di spirito, e cara al pubblico. Ma è anche un’opera di grande energia: quello che serviva per l’apertura della stagione che ci porterà al 2021.

L’INNOVAZIONE DELLA REGIA DI MARTONE

Non è il primo spettacolo che viene realizzato per la sola fruizione in streaming: tra i più recenti il 20 novembre il Teatro Donizetti ha dato il Marino Faliero. Settimana scorsa Otello al Maggio Musicale Fiorentino. Tuttavia questa produzione del Barbiere di Siviglia è un tipo di spettacolo diverso dai precedenti.  Affidare entrambe le regie (sia quella teatrale che quella televisiva) a una stessa figura è stato senza dubbio un punto di forza.

È evidentemente uno spettacolo pensato e sviluppato appositamente per la visione da schermo: questo ha portato Martone a ragionare diversamente sullo spazio scenico. Se per l’Otello di Firenze il palcoscenico è stato utilizzato ancora in maniera tradizionale (e con una regia televisiva che si appoggia alla regia teatrale), Martone sfrutta tutto il teatro, dal palco, ai corridoi, la platea, i palchi. Anche la regia del Marino Faliero sopracitato ha utilizzato lo spazio della platea, ma il risultato non ha la stessa forza registica della produzione romana.

Non essendoci il pubblico lo stesso palcoscenico perde un po’ di significato: non ha più senso (per una fruizione streaming) che i cantanti si esibiscano rivolgendosi per quasi tre ore a una platea vuota. Martone l’ha capito e ha trovato una valida soluzione.

IL BARBIERE DI SIVIGLIA – UN INTRECCIO DI SITUAZIONI

Nel primo atto il regista fa diventare la platea una piazza di Siviglia, e il palco reale il balcone della casa di Don Bartolo. Nessun elemento scenico, bisogna immaginarsi tutto –come per il teatro shakespeariano- innescare nello spettatore il meccanismo del “facciamo finta che” (che è il cuore del teatro). Ma funziona.

E poi arriva il cambio scena (che non poteva non colpire gli spettatori): un groviglio di corde si espande dai palchi, alla platea al palco, legando gli ambienti. Un’idea semplice ma forte, che apre a diverse letture. La prima, più immediata, si rifà alla situazione di prigionia in cui vive Rosina: più volte la casa di Don Bartolo è stata resa scenicamente come una gabbia, nella quale la giovane è tenuta prigioniera. L’idea di Martone se da un lato si collega a questa lettura, ci dice anche altro. Sono gli intrecci e i piani che si tessono nella storia legando tra loro i vari personaggi: quelli tra il Conte e Figaro; quelli di Rosina, Lindoro e il Barbiere. Sono le “cento trappole, prima di cedere” di Rosina, sono i sotterfugi di Don Bartolo e Don Basilio.

Teatro dell’Opera di Roma

NEI GROVIGLI DI MARTONE IL SENSO DEL TEATRO

Personalmente, in questa installazione, leggo un simbolo delle infinite connessioni che si creano quando si assiste a uno spettacolo teatrale, dove ogni spettatore si rivede nei personaggi e nelle situazioni che vengono messe in scena. Ed è il riassunto, dal mio punto di vista, di quella che è da sempre la funzione del teatro: assorbire le storie e le problematiche della società, rielaborarle e rimandarle poi trasfigurate allo spettatore.

E alla fine, vero proprio coup de théâtre, i protagonisti, il coro, le maestranze, tagliano con le cesoie queste corde. Un’immagine potente: non è solo lo scioglimento degli intrecci della trama. È il Teatro che viene liberato, e il forte peso di questa azione (quasi rituale) lo si vede nei sorrisi e nell’energia che ci mettono nel tagliare queste corde. Un segno di speranza per la nuova stagione del Teatro, dopo un periodo buio (di cui il Covid è solo la punta dell’iceberg).

Teatro dell’Opera di Roma

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Roberto Boldini
Sono un ragazzo di campagna con la testa tra le nuvole immerso tra mille progetti, se fossi una canzone sarei Confessioni di un malandrino di Branduardi. Dopo la laurea in Scenografia a Brera ho intrapreso un corso di specializzazione presso i laboratori della Scala. Quello che più mi piace è raccontare punti di vista: lo faccio disegnando, scrivendo, progettando. Più che le storie mi attraggono le persone, la loro psicologia, come vengono resi sullo schermo o su un palco il loro dramma interiore e la loro personalità (fantasticando su come le renderei io).

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