Virginia Woolf Mrs Dalloway

La signora Dalloway (Mrs Dalloway) è un romanzo di Virginia Woolf pubblicato nel 1925

Quando si emerge dalla scrittura di Virginia Woolf lo si fa con fatica ed un sospiro di libertà. Ogni sua parola è ricolma di angoscia, dolore e disagio interiore, che ci coinvolgono, ci trascinano nell’oscurità dei sentimenti e ci tramortiscono. Stati d’animo dai quali lei stessa non è mai riuscita a liberarsi, ma che paradossalmente l’hanno condotta ad essere una delle principali figure della letteratura del XX secolo.

D’altronde i poeti dannati, non avendo timore di mettere a nudo le loro fragilità, sono quelli che empatizzano maggiormente con il lettore, facendolo sentire meno solo e permettendogli di accedere alle loro emozioni e a quelle dei personaggi. La sofferenza e la compassione come salvacondotto per la gloria.

Le opere della Woolf, in particolar modo Mrs. Dalloway, non hanno l’interesse di narrare il flusso del tempo, degli eventi e l’ordine nei quali essi accadono, ma lasciano spazio alla voce della coscienza ed ai tormenti dell’uomo. Frasi e pensieri che si materializzano mediante il mondo interiore, mettendo da parte quello esteriore. Il testo della Woolf non è inchiostro su carta, ma vita che scorre tra le pagine. È l’anima di Virginia a scrivere, non la mano.

La trama di Mrs. Dalloway

Mrs. Dalloway è il romanzo che rappresenta l’alter ego di Virginia Woolf, vi è gran parte del materiale della sua vita. Il matrimonio, la sua esistenza, la malattia che viene impersonificata in uno dei personaggi del libro e Londra, la sua città. La trama si svolge in una singola giornata, nella quale accade tutto. Accade la vita e accade la morte, l’inizio e la fine. I protagonisti sono Septimus Smith veterano della Prima Guerra Mondiale e Clarissa Dalloway, signora londinese, alto borghese di cinquantuno anni. Tutta la vicenda ruota intorno alla donna, alle sue ore e al suo cammino per le vie della città per acquistare dei fiori per la festa che sta organizzando.

“La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comprati lei” ed è esattamente così che inizia il romanzo.

Durante il percorso, i suoi passi sono intervallati da turbamenti che le invadono la mente e da flashback dell’estate di trent’anni prima, in cui ricorda l’incontro del marito, Richard Dalloway, con il rivale in amore, Peter Walsh. L’azione è scandita dal passato, dal presente e dalla paura del futuro e della morte. Vortice del tempo, che contrasta agilmente la staticità inquieta dei personaggi.

I due protagonisti, specchio della doppia personalità di Virginia Woolf

Affascinante è il modo con cui Virginia si serve del tema del doppio. Senza indugio radica la sua doppia personalità nei due protagonisti.

Clarissa, la parte luminosa, razionale, amante del presente ma che non rifiuta il passato, e Septimus, la parte pregna di follia, sovrastata dalla malattia e in cui il ricordo lacera il presente.

La ricostruzione dei salti temporali fa riaffiorare le memorie di entrambi, se la prima si immerge nelle immagini di un giardino rivelatore di passioni, l’altro, al contrario, affonda nell’oscurità della guerra, che gli ha causato l’instabilità mentale.

L’obiettivo della Woolf, con Mrs. Dalloway, è proprio questo. Il continuo raffronto tra il diniego del mondo esterno ed il comportamento sereno ed ordinario, la diversità della realtà vista dalla mente del pazzo e da quella del sano.

La malattia – Domare l’oscurità

La depressione, il disturbo della personalità e le continue allucinazioni di Virginia Woolf si manifestano già in età adolescenziale, successivamente alla perdita della figura materna.

Una malattia che ha creato un mostro dal quale la scrittrice scappa di continuo per salvarsi. Un perenne senso d’ansia che l’ha condotta alla follia, fino al gesto estremo. Un disagio invalidante che ha influenzato tutta la sua letteratura, e che grazie a Mrs Dalloway, è riuscito a concretizzarsi e diventare forte testamento.

La follia e la malattia sono raffigurate da Septimus, personaggio circondato dal pensiero costante della morte, con la continua ossessione nel sentirsi un estraneo ed un peso, “Sono io che ostruisco la strada”. È un morto che cammina. Incapace di godersi l’istante, perché lo rifiuta, proprio come lo rifiuta Virginia Woolf nella negazione del cibo. Rinnega ciò che è stato, non accettando alcun tipo di compromesso a differenza di Clarissa, che a compromessi ci è scesa sin dal momento in cui ha scelto Richard e non Peter, perché risultava essere la soluzione più comoda e serena, cercando di rendere l’esistenza degna di essere vissuta.

L’equilibrio di questa bilancia perfetta di anime è essenziale, l’una è la complementarità dell’altra. Septimus ha bisogno di Clarissa per riuscire a domare “il mostro”, la malattia. Ma forse la donna non è abbastanza. Nulla è abbastanza per salvarsi da certi demoni.

La morte – Septimus, anticipazione della fine di Virginia Woolf

Se per Clarissa il romanzo si conclude con la vita. Per Septimus si conclude nel respiro della morte, quasi ad anticipare la fine infausta della stessa scrittrice. La decisione di voler porre fine alle sofferenze, con la morte dell’uomo, viene raccontata, dalla Woolf, come un rito sacrificale e di liberazione.

Il soldato suicida è colui che ha il coraggio di guardare fino in fondo la realtà deludente e di staccarsi da essa per sempre. L’intolleranza della falsità nei rapporti e l’esteriorità sovraordinata all’interiorità umana, l’hanno portato a compiere l’insano gesto. Lui non vuole morire, ma è l’unico rimedio che gli resta.

Esattamente come accade all’autrice del romanzo che, come il reduce di guerra, non riesce a sopportare il pesante fardello della vita e dell’infelicità e si abbandona alla morte.

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Annamaria Martinisi
Sono il risultato di un incastro perfetto tra la razionalità della Legge e la creatività del cinema e la letteratura. La mia seconda vita è iniziata dopo aver visto, per la prima volta, “Vertigo” di Hitchcock e dopo aver letto “Le avventure di Tom Sawyer” di Mark Twain. Mi nutro di conoscenza, tramite una costante curiosità verso qualunque cosa ed il miglior modo per condividerla con gli altri è la scrittura, l’unico strumento grazie al quale mi sento sempre nel posto giusto al momento giusto.