Dominic Sessa, Paul Giamatti e Da’Vine Joy Randolph in The Holdovers - Lezioni di vita: la recensione del film
Dominic Sessa, Paul Giamatti e Da’Vine Joy Randolph in The Holdovers - Lezioni di vita. Credit: Seacia Pavao / © 2023 FOCUS FEATURES LLC

Tre solitudini diverse si incontrano in The Holdovers – Lezioni di vita di Alexander Payne. Sono quelle di Angus Tully (Dominic Sessa), studente acuto, intelligente e ribelle; Paul Hunham (Paul Giamatti), burbero e rigido professore di storia e letteratura classica e Mary Lamb (Da’Vine Joy Randolph) la cuoca dell’istituto scolastico dove il film è ambientato.

The Holdovers, la trama

È dicembre 1970 (e lo sembra davvero, grazie all’impressionante fotografia di Eigil Bryld e alla post-produzione che riproduce la pellicola analogica). L’accademia Barton, prestigiosa scuola privata del New England, nei pressi di Boston, si prepara per le vacanze di Natale. Il professor Hunham è costretto a trascorrerle nel collegio insieme a cinque studenti che non faranno rientro a casa e alla cuoca, Mary. Dopo pochi giorni, di questi cinque resterà soltanto uno, Angus, l’unico che non è riuscito a contattare i propri genitori e sottrarsi al ferreo programma di studio pensato dall’insopportabile professor Hunham.

Così, dopo una lunga ma fondamentale introduzione, che serve per lo più a capire il carattere dei personaggi, inizia propriamente The Holdovers. Quando Angus, Paul e Mary restano soli, ognuno con i propri fantasmi.

Paul, Angus e Mary: “chi resta indietro”

“Chi resta indietro”, ma anche “gli scarti”, questi sono gli holdovers in una traduzione riduttiva ma efficace. Angus dopo aver preparato la valigia per la vacanza che sognava, viene abbandonato all’ultimo minuto dalla madre, che preferisce partire soltanto con il nuovo marito, per la sua luna di miele.

Paul è lasciato indietro da tutti, principalmente perché è un uomo chiuso e consumato dalla rabbia e dal risentimento verso quello stesso mondo accademico in cui ha trovato il suo rifugio. E la sua gabbia. Avrebbe tanto da condividere con il mondo, se solo lasciasse avvicinare a sé qualcuno.

Mary è una madre in lutto ed è molto di più. È un personaggio stratificato su diversi piani, non tutti resi espliciti da Payne, ma comunque sempre percepibili. È una donna nera e sola negli Stati Uniti degli anni Settanta, con pochi mezzi al punto che riesce a iscrivere il figlio alla Barton solo perché dipendente della scuola. Quello stesso figlio, su cui ripone tutte le speranze per il futuro, muore in Vietnam per un Paese che in patria lo rifiuta e lo discrimina. E questo lutto inguaribile l’attraversa a ondate di dolore, imprevedibili ma perpetue. Senza mai toglierle però la sensibilità, la cura e l’attenzione verso gli altri.

Una scena di The Holdovers - Lezioni di vita
Una scena di The Holdovers – Lezioni di vita. Credits Focus Features

Non nobis solum nati sumus: il significato di The Holdovers

Come dice lo stesso professor Hunham in una bellissima scena del film, ogni cosa umana è già accaduta ma ha sempre qualcosa da insegnare. Lo stesso si potrebbe dire anche di The Holdovers, un film di formazione abbastanza lineare nelle sue premesse, che però colpisce per l’intensità, la verità e l’emotività dei suoi personaggi e per la capacità di mostrare un arco di evoluzione per tutti e tre i protagonisti, non solo per il giovanissimo Angus di Dominic Sessa.

«Non c’è niente di nuovo nell’esperienza umana. Ogni generazione crede di inventare la dissolutezza, la sofferenza, la ribellione, ma qualsiasi impulso o appetito dell’essere umano, dal più disgustoso fino al sublime, è in bella mostra in queste sale», dice Giamatti appunto nella scena già citata, dentro un museo. «Quindi prima di rigettare qualcosa come noioso e irrilevante, se desidera davvero comprendere il presente, o se stesso, è sempre dal passato che deve partire. La storia non è un semplice studio del passato, è una spiegazione del tempo presente».

Insieme Angus, Paul e Mary imparano ad attraversare i loro sentimenti meno piacevoli, il dolore e la solitudine, ma anche la depressione che ciascuno manifesta in modo diverso: con la rabbia, con l’ostilità o con l’abbandono. Insieme imparano ad abbracciare il passato e il presente per poter riuscire finalmente a immaginare (o inventare da zero) il futuro.

Non è però una fiaba a lieto fine quella raccontata da Alexander Payne. The Holdovers è uno spaccato di vita, un viaggio attraverso emozioni forti, contrastanti, non sempre positive ma a loro modo confortanti. Una carezza, quasi, che confessa al pubblico “Non nobis solum nati sumus”: Non siamo nati solo per noi stessi.

È così, sul senso di questa citazione, che si chiude The Holdovers. SPOILER – Con un triste addio (o forse un arrivederci) che però nasconde in sé l’atto d’amore più grande e politico del film: il rigido professore che alla fine prende le parti dell’alunno ribelle e lo difende di fronte a tutti, genitori compresi, per evitare che Angus venga spedito in Accademia militare, minaccia che pende su di lui fin dall’inizio e che il costante ricordo del figlio di Mary ucciso in guerra dovrebbe rendere all’instante angosciante.

Ciò che compie Paul è un vero “sacrificio” che rompe l’equilibrio del suo rifugio-gabbia costruito per anni. Lo fa però però appunto per amore paterno, per risparmiare la carriera scolastica e la vita di Angus. Perché, è bene ricordarlo, i ragazzi “ribelli” come lui, all’Accademia militare venivano spediti per finire in Vietnam, non certo per trovare la retta via.

V.V.

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