Jeffrey Wright in American Fiction di Cord Jefferson
Jeffrey Wright in American Fiction di Cord Jefferson. Courtesy of Prime Video

Come un’apparizione, American Fiction arriva su Prime Video a pochi giorni dagli Oscar 2024. Ed è un colpo di fulmine. È amore a prima vista per un film che ha davvero tutto, dalla commedia al dramma, dai temi di rivendicazione sociale all’indagine intima e intimista. Tutto, sempre, scritto con intelligente, acuta e irresistibile ironia da Cord Jefferson, al suo debutto cinematografico come regista e sceneggiatore dopo l’Emmy per la miniserie Watchmen.

È candidato a 5 premi Oscar: miglior film, miglior attore protagonista (Jeffrey Wright), miglior attore non protagonista (Sterling K. Brown), miglior sceneggiatura non originale e miglior colonna sonora e in Italia, appunto, arriva direttamente in streaming su Prime Video, senza passare dalle sale, a partire dal 27 febbraio.

American Fiction, la trama

Thelonious Ellison (Jeffrey Wright) detto “Monk”, il monaco, è un professore burbero e intransigente, rispecchiato forse quest’anno al cinema da un altro professore ugualmente burbero e intransigente del magnifico Paul Giamatti in The Holdovers – Lezioni di vita. La durezza di Monk, tuttavia, è dovuta a una presa di posizione precisa. Coltissimo, severo con se stesso e con gli altri, ma anche geniale in molti aspetti della sua vita e della sua carriera, non accetta di essere etichettato solo come autore e professore nero.

Jeffrey Wright in American Fiction

Thelonious Ellison è afroamericano, ma la sua esperienza personale della nerezza non è tutto ciò che ha da offrire ai suoi studenti e al suo pubblico. Nelle sue opere racconta di miti, divinità e archetipi, non dei quartieri popolari e o della stratificazione di classe, su cui da borghese benestante non avrebbe inoltre granché da aggiungere. Eppure chiunque da lui si aspetta tutt’altro. Si aspetta una narrazione stereotipata, che è poi ciò che i lettori sono disposti ad ascoltare e a comprare. Come accade alla sua “rivale” Sintara Golden (Issa Rae).

È così che, da professore qual è ma anche da uomo esasperato, prova a dare una lezione al suo stesso pubblico, scrivendo sotto pseudonimo un romanzo così come richiesto dal pubblico. Ridicolo, stereotipato, insensato eppure subito ai vertici di ogni classifica. Monk si ritrova in un equivoco sempre più grande, sempre più assurdo e sempre più divertente, nonostante le falciate di estremo realismo e dolore che a volte colpiscono il percorso di Thelonious all’improvviso. Lasciando anche noi spettatori senza fiato.

Imparare a guardare la realtà: ecco cosa insegna American Fiction

American Fiction è un racconto complesso e stratificato che si descrive da solo a partire dal suo titolo. Tutto è finzione, tutto è rielaborazione, racconto, metanarrazione. Il confine tra la realtà e la voce del narratore si perde volutamente, soprattutto sul finale, per trasmettere un messaggio molto chiaro: guardiamo e capiamo solo quello che vogliamo guardare e (far finta) di capire.

Una scena di American Fiction

Cord Jefferson costruisce una straordinaria commedia che tale rimane nonostante e attraverso i momenti emotivamente più intensi e drammatici. Una commedia in cui si ride (tanto) piangendo e in cui si riflette sul concetto di identità. Di nerezza e di bianchezza certamente ma non solo. Una commedia che si scontra con l’idea che oggi si ha del “politicamente corretto”.

Quella di Jefferson è una critica sociale a un insieme di stereotipi che si applicano nella quotidianità senza nemmeno riconoscerli come tali e che spesso sono più dannosi quando provengono dalle persone che si reputano progressiste. Una storia che insegna a guardare la realtà e darle forma attraverso parole più giuste e più sensate.

In breve

American Fiction è il Moonlight del 2024? Non è da escludere. È un film piccolo ma sensazionale, che sa arrivare al pubblico in modi anche inaspettati e imprevedibili e che conta su un cast straordinario. Ha già vinto molto dall’inizio del suo percorso al Toronto Film Festival fino alla corsa all’Oscar ed è davvero improbabile, ma non impossibile, che arrivi alla statuetta più ambita.

Intanto, però, è una lezione di sceneggiatura per tutti i “grandi” del cinema, che spesso forse il pubblico tendono a dimenticarlo (sì, Nolan, parliamo di te). Senza spiegoni e con la sua immediatezza emotiva, narrativa e umana, American Fiction è in grado di smontare e rimontare la questione del “politicamente (s)corretto” mostrando tutta la nostra ipocrisia. Un film che è quasi una sberla in faccia, o meglio, uno scossone amichevole che, scherzando, fa capire molte cose.

V.V.

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