Tornando a casa (Coming Home) diretto da Hal Ashby
Tornando a casa (Coming Home) diretto da Hal Ashby

Uscito il 15 febbraio 1978, Tornando a casa (Coming Home) di Hal Ashby, con protagonisti Jane Fonda, Jon Voight e Bruce Dern, è un dramma romantico ambientato durante la guerra del Vietnam.

Ispirato dall’amicizia della Fonda con l’attivista contro la guerra Ron Kovic, il film racconta di un triangolo amoroso sovrastato dalla nera bestia della guerra che fagocita persone e legami.

Non è un paese per reduci

Sally Hyde (Jane Fonda) è la moglie del capitano dei marine Bob Hyde (Bruce Dern), in procinto di partire per servire la causa americana in Vietnam. Durante l’assenza del marito Sally inizia a fare volontariato in un ospedale per veterani. Lentamente scopre l’altro volto della guerra, quello fatto di persone ferite nel fisico e nella mente. Qui rincontra un vecchio compagno del liceo, Luke Martin (Jon Voight), rimasto paraplegico durante il suo servizio in guerra. Il loro legame si fa sempre più profondo, fino a diventare amore.

Questo li trasforma come persone, ma un giorno Bob torna a casa.

La particolarità più originale del film è che tratta la guerra del Vietnam senza mostrare mai una scena di combattimento. È una Spada di Damocle già caduta su alcuni e pronta a farlo su altri. È invece l’America sofferente, che aspetta il ritorno dei feriti o dei morti, ad avere tutta la nostra attenzione.

In secondo piano rispetto al triangolo principale, c’è anche la vicenda tragica dei fratelli Vi (Penelope Milford) e Bill Munson (Robert Carradine) e del fidanzato di lei, Dink Mobley (Robert Ginty), in sevizio insieme a Bob.

Dentro le fauci del mostro – Il film e il regista

C’è una potenza intima e impietosa nel ritratto che il film offre della vita ai tempi del Vietnam. Il cambiamento dei tre personaggi è il riflesso di una presa di coscienza da parte del Paese.

La musica, dapprima pallida e apatica, dopo la prima mezz’ora cambia totalmente. Prima distaccata rispetto al contenuto, poi più incisiva, sottolineando meravigliosamente alcune scene. Forse a volte eccessiva, aggredisce i silenzi che potrebbero comunque dire molto. O forse è un anestetico proprio contro di essi.

Hal Ashby, in precedenza vincitore di un Oscar come montatore, confermò qui il suo talento di cineasta atipico nel panorama americano. Fu sempre perfettamente in grado di maneggiare ogni genere cinematografico con un approccio innovativo rispetto a quanto mai visto in precedenza. Durante la sua carriera di regista, durata 16 anni, girò 13 film, alcuni dei quali come Harold and Maude (1971), The Last Detail (1973), Shampoo (1975) e Being There (1979) restano nell’immaginario collettivo mondiale.

Dà prova qui di una sensibilità non indifferente, sfruttando la lontananza della guerra rispetto ai personaggi principali e alle loro vicende, ma riuscendo comunque a non farci mai dimenticare della sua presenza mortifera.

I personaggi

I tre personaggi principali risaltano magnificamente in un gioco mimetico che li mostra nei due aspetti pre e post Vietnam. Veniamo catturati dai loro ruoli tipici, ma non stereotipati, che toccano vari apici lirici, tragici e grotteschi. In particolare la scena di Hong Kong, con l’arrivo di Bob su un risciò.

Sally è la rappresentazione di un’America che scopre un nuovo volto di se stessa aprendosi alla realtà fatta di feriti e sofferenti che ha incosciamente contribuito a creare. Da moglie anestetizzata dal perbenismo diventa infine una donna risoluta che aiuta gli altri.

Luke è il volto di quei “rifiuti” del conflitto, quelli che ne portano ancora sul corpo i segni. La loro vera e unica medaglia è la condizione in cui li lascia il loro sogno patriottico che si è consumato tra i fuochi della guerra.

Ma è Bob Hyde il ritratto più spietato dell’americano infervorato dal mito della guerra. Frustrato impiegato dell’apparato militare statunitense, voce pacata e sorriso smagliante. Fin dalla sua prima apparizione aleggia continuamente l’impressione che in lui il militare fanatico e il marito amorevole convivano perfettamente. Finché sono allo stadio infantile. Perché di fronte alla vera guerra e ad una moglie cambiata si accartoccia come un pezzo di carta bruciato e i mille frammenti della sua psiche ferita volano via trascinandolo verso una morte spietata e metodica.

Perché alla fine della visione il titolo diventa un amaro scherzo della realtà. Non esiste veramente una casa (nel senso più affettivo del termine inglese “home”) per coloro che tornano dalla guerra.

Quello che sto dicendo è… che io non appartengo a questa casa! E loro dicono che io non appartengo nemmeno a quella realtà!

Capitano Bob Hyde (Bruce Dern)

Tre attori, una generazione

Jane Fonda, membro della prestigiosa dinastia attoriale dei Fonda, sex symbol tra gli anni ’60 e gli anni ’70, è tutt’oggi un’icona del cinema mondiale e di un certo tipo di femminismo. Già vincitrice di un Oscar nel ‘71 per Klute, si è sempre distinta tanto per gli onori della critica quanto per quelli del gossip. Le sue doti recitative non le impedirono di passare da grandi successi di critica e di pubblico a ruoli più controversi che però mantennero intatta la sua immensa e meritata fama.

Jon Voight venne alla ribalta nel 1969 come protagonista di Midnight Cowboy. Il suo ruolo gli fece guadagnare un prestigio e un successo che non seppe mai adeguatamente sfruttare. Durante gli anni ‘70, eccezion fatta per un paio di film, passò il tempo a evitare ruoli importanti. In Coming Home, pur essendo già stato nominato per un Oscar, era praticamente ritornato a essere un esordiente. Dopo la rinnovata fama ottenuta con questo film la sua carriera fu comunque sempre altalenante.

Bruce Dern è un attore più famoso oggi di quanto non lo sia mai stato all’epoca. Nonostante venga dalla medesima generazione dei suoi colleghi, la sua carriera stentò a decollare per quasi due decenni. La lenta e faticosa cavalcata verso la fama lo portò alla fine degli anni ‘70 a trionfare ai botteghini e presso la critica grazie ai thriller Black Sunday (1977) di John Frankenheimer e The Driver (1978) di Walter Hill. Con Coming Home si guadagnò infine una prima nomination all’Oscar. E da lì in poi ha continuato a scolpire sempre più a fondo il suo nome nel pantheon dei grandi attori del cinema americano.

I tre lati della tempesta

La discussione finale fra i tre personaggi principali è di una veemenza brutale senza eguali. Le grandi interpretazioni si mescolano a dei dialoghi che infilzano come pugnali la coscienza della nazione americana. Tutto stilla sangue e disperazione, perché per almeno uno di loro non c’è futuro. E quando Luke arriva a casa, Bob spalanca gli occhi. Ma non è uno sguardo folle quello che tira fuori Bruce Dern, ma di terrore, perché sa che sarà certamente lui ad essere messo da parte.

Ma come nacque questa scena? Lo racconta Dern stesso in un’intervista al Dick Cavett Show reperibile su YouTube.

Amareggiato per l’ennesimo ruolo secondario, l’attore incanalò nel suo personaggio la rabbia di due decenni di carriera trascorsi ai margini del sistema cinematografico americano. Con la complicità del regista, che ignorò la versione del copione, in una falsa scena registrata ma non filmata, rovesciò la sua rabbia privata contro i due protagonisti.

Tirò il suo rimpianto per non aver avuto il ruolo principale maschile in They Shoot Horses, Don’t They? (1969), dov’era presente anche Jane Fonda, e per i numerosi ruoli secondari al fianco del fratello di lei, Peter. E l’astio verso Jon Voight e il suo piccolo grande successo all’inizio degli anni ‘70. Questo sfogo servì come base agli scrittori e al regista per il regolamento finale dei conti tra i personaggi nel film.

Mi dispiace. Sono proprio fottuto. Volevo solo essere un eroe. Tutto qui. Volevo solo essere un fottuto eroe. Per un giorno nella mia vita, un momento, sarei voluto uscire di scena da eroe. In questo modo avrei fatto qualcosa di mio, che avevo realizzato io.

Capitano Bob Hyde (Bruce Dern)

In breve

Un bel film, coronato da degli ottimi interpreti e da una regia vitale. Assistiamo alle metamorfosi dei personaggi e del Paese, mentre un sapore amaro ci prende la bocca. Perché quelle sofferenze così quotidiane e reali, sono ancora oggi attualissime.

Continuate a seguire FRAMED anche su Facebook e Instagram.

Francesco Gianfelici
Classe 1999, e perennemente alla ricerca di storie. Mi muovo dalla musica al cinema, dal fumetto alla pittura, dalla letteratura al teatro. Nessun pregiudizio, nessun genere; le cose o piacciono o non piacciono, ma l’importante è farle. Da che sognavo di fare il regista sono finito invischiato in Lettere Moderne. Appartengo alla stirpe di quelli che scrivono sui taccuini, di quelli che si riempiono di idee in ogni momento e non vedono l’ora di scriverle, di quelli che sono ricettivi ad ogni nome che non conoscono e studiano, cercano, e non smettono di sognare.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui