Un altro Ferragosto, 01 DISTRIBUTION
Un altro Ferragosto, 01 DISTRIBUTION

A ventotto anni da Ferie d’agosto, Paolo Virzì torna con quello che è sia un sequel delle avventure (disastrose) tra Molino e Mazzalupi, che la constatazione nostalgica ma lucida di un lunghissimo tempo passato a concentrarsi sull’assenza di speranza per il futuro, invece che sul rimedio. Un altro Ferragosto non è una cartolina agrodolce da Ventotene, come il film precedente, ma una lettera romantica e a cuore aperto alla nostra Italia, così sbagliata, così frammentata, da far leggere alle nuove generazioni, quelle che raccoglieranno, forse, il seme del cambiamento.

E se in alcuni momenti eccede nell’entusiasmo di voler realizzare un quadro il più ricco possibile, ci ricorda quanto sia importante un linguaggio come quello di Virzì, comico e drammatico, per leggerci dall’esterno.

Come un remix dei nostri ultimi anni politici

Mentre un motoscafo raggiunge la costa per portare a destinazione una giovane coppia, alla musica che li accompagna a riva si aggiungono le parole del passato che prendono posto nel presente: stralci dell’animata conversazione tra Sandro Molino (Silvio Orlando) e Ruggero Mazzalupi (Ennio Fantastichini), avvenuta quasi trent’anni prima all’interno di un’arena casalinga, riecheggiano come un monito, infiltrandosi nella storia attuale di due famiglie che tornano a Ventotene per Ferragosto.

La coppia è composta da Altiero Molino (Andrea Carpenzano), figlio di Sandro e imprenditore di successo (concepito poco prima di quella vacanza del ’96) e suo marito Noah (Lorenzo Saugo). Sono lì per mettere insieme tutti i vecchi amici e regalare al padre di Altiero, molto malato, un’ultima vacanza nel luogo tanto amato. Se prima era la location poco turistica in cui la famiglia Molino trascorreva una settimana di pace senza corrente elettrica e con un’ideale libertà, in Un altro Ferragosto si connota al centro del messaggio del regista, come un ulteriore personaggio in grado di dire la sua, come simbolo della lotta antifascista. L’isola fu infatti luogo di confinamento, dal 1941 al 1943, di numerosi antifascisti, tra cui Sandro Pertini, Altiero Spinelli e molti altri.

Sandro, facendosi aiutare dal nipotino Tito (Lorenzo Nohman), figlio dell’ormai adulta Martina (Agnese Claisse), sta sfruttando quei giorni di mare per scrivere una lettera a Ursula von der Leyen, per sensibilizzarla alla tutela del pollaio costruito da Spinelli negli anni in cui era confinato sull’isola. Un desiderio sentimentale, fomentato dalla paura di aver esaurito il tempo a disposizione per farsi sentire, viene trasmesso al bambino, che trova negli ideali del nonno qualcosa in cui credere.

Ritrovarsi a Ventotene come irriducibili nemici

A Ventotene però arrivano anche i Mazzalupi, per celebrare il matrimonio tra Sabri (Anna Ferraioli Ravel) e Cesare (Vinicio Marchioni), tra le new entry del nuovo cast assieme a Christian De Sica, nuovo compagno (cialtrone e un po’ fascista) di zia Marisa (Sabrina Ferilli), ed Emanuela Fanelli, ex moglie di Cesare, instancabilmente delusa dalla vita.

Ci sono due assenze importanti in questo ritorno, Ennio Fantastichini e Piero Natoli (il marito di Marisa): entrambi scomparsi, vengono ricordati in Un altro Ferragosto senza ometterne la morte. Virzì racconta che è stato un sogno con loro due a decretare la realizzazione del film, che gli apparivano insieme al gruppo di antifascisti di Ventotene, esortandolo ad una sorta di chiamata alle armi, ma attraverso una cinepresa e un gruppo tra i suoi più cari amici di quell’estate degli anni ’90. Come prospettive antitetiche della stessa Italia, le due famiglie si incontrano di nuovo, costrette a condividere l’isola, prigioniere e vittime delle loro idiosincrasie codificate e delle differenze che li connotano come specchio di due macrogruppi sociali, inclini a non conciliarsi mai.

Un altro Ferragosto, 01 DISTRIBUTION
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Quel divario intellettuale nel 1996 si esprimeva con il rifiuto di una nuova destra da parte dei Molino, acculturati esponenti di sinistra, e con il trionfo di un nuovo ceto che conquistava il Paese, espresso dalla prepotenza ricca di insicurezze dei Mazzalupi. Nel 2024 i giri di parole e le rivendicazioni appaiono come un piangere sul latte versato: le strutture sono cambiate, sia all’interno dei nuclei familiari che nell’esposizione mediatica di un’ignoranza costantemente esibita. La leggerezza di fine anni ’90 viene sostituita dalla tragicità. Le due facce della stessa medaglia aderiscono al fallimento e alla delusione, espresse nella malinconia del racconto, incarnata ancora da Marisa, da Cecilia (Laura Morante), da Roberto (Gigio Alberti).

La lotta che allontana, l’umanità che accomuna

La commedia, assorbendo le incursioni del melodramma e lo spirito del prequel, fa luce sulle fragilità dei personaggi, ancor più di prima, celate dietro corazze di muscoli e tatuaggi come per Cesare, o ai silenzi e ai risentimenti, come per Altiero, che non ha mai trovato un punto d’incontro con il padre e che sfortunatamente ha preso da lui la durezza nei rapporti interpersonali. Il fallimento personale travalica le differenze e stringe in un abbraccio surreale, riportando i personaggi alla loro istintuale umanità, senza sovrastrutture di alcun tipo.

Sandro, anche per colpa della sua malattia, si rifugia nel passato, che è in bianco e nero e popolato dagli antifascisti confinati e dal brivido di tornare a combattere, per costruire di nuovo l’Italia. Quelle visioni, dirette da Virzì come tenere proiezioni oniriche di un romantico comunista arrivato alla fine, sono una promessa, ispiratrice per un’inedita narrativa.

All’interno di una dialettica tra due fazioni, si aggiunge la voce dell’Isola con la sua memoria, lasciando emergere una fiducia inattesa, germogliata dopo ventott’anni di trasformazione. Nessuno come Virzì, al giorno d’oggi in Italia, potrebbe raccontarlo meglio.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.

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