All the Beauty and the Bloodshed

Il personale è politico, recitava uno degli slogan più celebri e identificativi delle lotte degli anni Settanta, ed è proprio così nell’opera di Nan Goldin, raccontata in All the Beauty and the Bloodshed.

Il documentario di Laura Poitras, Leone d’oro a Venezia 79, inizia dunque dal microcosmo della vita della grande fotografa e si allarga sempre più, fino a immortalare una generazione e poi, ancora oltre, un’emergenza sanitaria in corso, quella dell’epidemia da oppiacei negli stati Uniti. La stessa di cui parla anche la serie Hulu Dopesick, di cui abbiamo parlato qui.

Cogliere il legame tra il micro e il macro in questa storia è essenziale, poiché è dal piccolo – dalla morte della sorella Barbara – che ha inizio tutta la storia di Nan Goldin, tutta la sua sofferenza, tutta la sua ricerca attraverso l’arte, tutta la sua lotta e tutta la sua fame di vita. È importante capire come, pur essendoci una chiara direzione della regia di Poitras, ad avere il controllo della narrazione è sempre lei, attraverso le sue opere, attraverso la sua voce e persino attraverso la musica. Non solo il film riprende i brani scelti dalla fotografa per accompagnare alcune esposizioni, ma è lei stessa accreditata come Music Supervisor nei titoli di coda.

Sezioni e struttura

Il documentario si suddivide perciò in sezioni che prendono il nome dai suoi lavori più conosciuti: The Ballad of Sexual Dependency, The Other Side, Sisters, Saints and Sybils, Memory Lost. Nella loro struttura profonda ognuna di esse si ripete nel film sempre secondo uno schema: prima le fotografie, immobili là dove invece dovrebbero scorrere a 24 al secondo (lo schermo di un cinema); poi il racconto del passato, infine il racconto del presente e della lotta contro la famiglia Sackler e l’ossicodone.

Un passo indietro. L’ossicodone, o OxyContin, è un antidolorifico che nella sua composizione rientra nelle droghe oppiacee ma che negli Stati Uniti è stato regolarmente prescritto per anni. Ha causato quasi mezzo milione di morti dagli anni Novanta a oggi, provocando in gran parte dei casi il passaggio all’eroina e decessi per overdose. Solo nel 2017 il governo americano l’ha riconosciuto come la causa di un’emergenza sanitaria. La lotta di Nan Goldin, dipendente dall’ossicodone dopo un incidente e, una volta disintossicata, attivista contro la vendita del farmaco, dovrebbe essere il fulcro del documentario, ma è chiaro che non esiste un solo centro.

All the Beauty and the Blooshed è una rete che connette tutti i punti e in cui tutti i nodi hanno egual peso, quelli del passato e quelli del presente.

Per comprenderli è necessario conoscere almeno in parte gli anni burrascosi e la New York, anzi, la Bowery Street in cui vive Goldin con il suo ricco e vario gruppo di amici ed è necessario prestare attenzione a tutto ciò che la protagonista stessa svela scena dopo scena. È faticoso, fisicamente provante, ma ne vale la pena.

Per riordinare le idee vi proponiamo di leggere perciò il nostro approfondimento sulla carriera di Nan Goldin e una recensione di All the Beauty and the Bloodshed.

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