Egungun è la maschera degli antenati, il segno tangibile di un’eredità immateriale, di un’identità. Una parola (in lingua Yoruba) che incarna un credo, che gli dà forma, colore e soprattutto peso.
Un Egungun è proprio ciò che sbarra la strada alla protagonista nel suo grande Suv scuro, in netto contrasto con la strada sterrata del villaggio in cui si trova. Non è soltanto impaziente, la donna, in fondo non ha fretta di arrivare alla sua triste meta, il funerale della madre. Sembra, piuttosto, infastidita dall’irruzione della “masquerade” nel suo percorso.
Quel travestimento senza volto che in un attimo la riconduce a ciò da cui aveva preso le distanze.
Unica vestita di nero, colore del lutto in Occidente, con il cranio rasato secondo il glamour londinese, la protagonista è visivamente isolata da chiunque altro, lontana.
Un’apparizione improvvisa, tra gli ospiti del funerale, rivela il vero motivo del suo viaggio: una donna, il suo primo amore rimasto casto e impossibile, per questo ancora forte come allora. Tanto forte da riportarla “a casa”.
La maschera dell’inizio e del titolo assume così un nuovo significato, un nuovo livello di profondità. È l’identità negata che ora si riafferma. Il capitolo che la donna è tornata a chiudere è quello aperto da un bacio mancato e dallo schiaffo di una madre che ora lei non piangere né perdonare.
In circa 15 minuti la regista Olive Nwosu racconta una storia semplicissima, una necessaria riappropriazione di sé e una riconciliazione con il passato. Lo fa con uno stile impeccabile e con l’omaggio al grande cinema africano (il pensiero corre subito a Touki Bouki, di Djibril Diop Mambéty, già citato da Beyoncé e Jay-Z nella promozione di On the Run II)
Egungun, corto nigeriano, è in anteprima italiana all’Orvieto Cinema Fest 2022.
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